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Ritratto di Marie-Jeanne Bécu, contessa du Barry, una donna moderna

Di Maria Gabriella Pasqualini

Dietro una sua apparente leggerezza, aveva combattuto una vita difficile fin dalla sua nascita; anche all’apice del suo successo era rimasta generosa e forte. Il racconto di Maria Gabriella Pasqualini, studiosa e docente dei servizi di sicurezza

Un recente film con attori prestigiosi ha riportato alla memoria una figura della corte di Francia del XVIII secolo. Una donna che, nella recente storia francese, è stata riconsiderata e rivista con un approccio molto diverso dalla vulgata storica tramandata, solo come persona di facili costumi e grande superficialità.

Il passato di Marie-Jeanne Bécu, contessa du Barry, prima di arrivare agli onori della cronaca, non era certo esemplare, al contrario; ma la donna era volitiva e intelligente e questo lo dimostrerà soprattutto quando, dopo la morte del reale amante Luigi XV, si ritirò nel suo splendido castello di Louveciennes, regalo del sovrano, lasciando Parigi, per viverci vicino alla residenza del duca di Brissac, gentiluomo di corte che l’amava da molto tempo ma che non si era mai dichiarato perché la donna era “proprietà reale”. Non volle mai convivere stabilmente con il duca. Mantenne sempre la sua grande autonomia di donna ormai ricca e assai decisa, con una “modernità”, per quel secolo, che la fa somigliare a donne dei nostri tempi. Un periodo della sua vita in cui ha dato prova di saggezza, anche finanziaria (pur vivendo nel lusso) e di maturità anche culturale, potendo finalmente vivere per sé stessa e non per mantenere il suo difficile ruolo in una corte nemica; un ruolo che ricoprì, nonostante la grande ostilità dell’austriaca Delfina di Francia; un muro di ostilità che nemmeno Jeanne-Antoinette Poisson, marchesa di Pompadour, prima di lei, aveva sperimentato.

Indubbiamente questa giovane donna, di 25 anni, entrata così prepotentemente a corte nel letto reale (tanto che si era arrivati anche pensare a un possibile matrimonio con il re), aveva un carattere decisamente molto diverso da quei nobili che frequentavano Versailles, ancora con le regole di quel mondo applicate non solo ai tempi di Luigi XIV ma anche nel regno di Luigi XV, dopo la reggenza di Filippo d’Orléans, dal 1715 al 1723.

Molti anni erano passati da quando la Pompadour aveva imperato a Versailles e i tempi erano decisamente cambiati. La giovane donna portò al re non solo la sua gioventù ma anche una visione diversa del ruolo di una favorita a corte, forse più “moderna”, che, sicura del suo potere, non si vendicava dei nobili presenti, anche se da essi riceveva ogni possibile sgarbo. A differenza della Pompadour che aveva “regnato” per ben vent’anni, Jeanne avrà solamente cinque anni a disposizione, prima che il suo re muoia di vaiolo.

Decise di imporre un suo stile, il suo, non interessandosi di politica ma di arte, per esempio, o di letteratura. Quando era adolescente era stata messa in un convento e da quel periodo aveva tratto un certo gusto per i libri ma anche il rifiuto per una vita assolutamente morigerata: si sentiva libera nelle sue scelte. Nel suo ruolo di favorita, peraltro molto fedele al sovrano, protesse le arti, le lettere e il commercio, mostrando notevoli capacità personali in quel settore.

Se la Pompadour aveva potuto inorgoglirsi per aver riunito uno dei cenacoli tra i più colti di quel secolo, la du Barry ebbe comunque delle importanti amicizie letterarie da non dimenticare. Ancora prima della sua presentazione ufficiale a corte, avvenuta solo dopo il necessario matrimonio di convenienza mai consumato con Guillaume conte du Barry, era divenuta amica di numerosi letterati, tra i quali Voltaire, che le fu amico molto benevolo, al punto che essa cercò. Peraltro, invano, nel 1770 di ottenergli l’autorizzazione per andare a Parigi da Ferney, dove abitava (attualmente Ferney-Voltaire). Questa amicizia tra l’ormai vecchio letterato e la giovane donna, continuerà anche quando questa cadde in disgrazia con la morte del re (1774), tanto che Jeanne farà una ultima visita a Voltaire nel 1778, quando era potuto andare a Parigi poco prima di morire. Jeanne non pretendeva di essere una intellettuale ma amava la letteratura, passione che diventò ancora più forte quando fu rinchiusa, prima di potersi recare a Louveciennes, nel convento di Sainte Aure, subito dopo il suo brusco allontanamento da Versailles per ordine del nuovo re e per espresso desiderio della nuova regina di Francia.

Ci si può meravigliare ai nostri giorni, osservando quello che è stato il percorso di questa donna, con una sua straordinaria attualità, quando visse sola, lontana dalle costrizioni della corte e dal dominio maschile che lì imperava. Bisogna ricordare che tra le varie favorite dei regnanti, a Versailles la du Barry è stata la sola borghese che venisse da una classe sociale bassa e avesse avuto precedentemente al suo successo a corte alcune frequentazioni in un certo tipo di locali, non propriamente adatti a giovani donne ma frequentati da uomini della borghesia e della nobiltà in cerca di facili avventure momentanee.

Durante il soggiorno, dopo la morte del re, nella sua tenuta, nonostante il desiderio di vivere in solitaria, anche se ancora con molto lusso ma nessun potere reale, Jeanne continuava a ricevere delle visite importanti anche da favorita ‘decaduta’ e questo avveniva perché, ritirandosi dalla vita di corte e nella sua vita in campagna, continuava a dimostrare quella generosità e un certo tipo di semplicità che aveva avuto anche a corte ma che non era stata affatto compresa né accettata.

Andò a trovarla, con grande scandalo a Versailles, anche il fratello di Maria Antonietta, Giuseppe II, l’imperatore d’Austria, giunto a Parigi per risolvere la penosa questione matrimoniale della sorella.

Nel 1788 il sultano di Mysore, Tippoo Sahib, signore di un piccolo territorio dell’India, inviando dei suoi emissari a Luigi XVI per chiedere l’aiuto della Francia nella lotta che stava per intraprendere contro gli inglesi, aveva anche provveduto a dotarli di doni preziosi per madame du Barry, la cui bellezza e la cui fama era evidentemente giunta anche nella lontana Asia. Era noto che era stata bandita da corte e non poteva più mettere piede nella reggia di Versailles, ma non era affatto scomparsa dal ricordo, evidentemente positivo, di molte persone. Testimoni dell’epoca scrissero che ai suoi quarant’anni era rimasta molto bella forse ancor di più di quando Luigi l’aveva scelta come favorita.

A Louveciennes, finalmente Jeanne aveva raggiunto una maturità e un equilibrio che sono normalmente propri di una donna dal carattere forte, quello che era riuscita dimostrare fin dalla sua prima giovinezza. Dietro la sua forza però, secondo testimonianze di chi andava da incontrarla, vi era anche una sorprendente franchezza nel suo parlare e una grande cultura, espressa con semplicità e gentilezza. Si avvicinerà alla Rivoluzione, che ritenne un momento molto interessante per la vita francese, ma dopo aver visto il terrore con cui questo movimento si evolveva, iniziò ad avere delle riserve su quanto stava accadendo. Nella sua generosità aiutò molte persone, possibili vittime della rivoluzione, accogliendole nella sua proprietà, tanto da essere ringraziata dal suo più acerrimo nemico, Maria Antonietta. Accettò di nascondere con coraggio preti, nobili, ex guardie del corpo.

Mentre molte persone lasciavano la Francia, per sfuggire alla furia rivoluzionaria, Jeanne decise di restare, anche se dovette fare un rapido viaggio a Londra, dove erano stati trovati i suoi gioielli rubati una notte nel suo castello, mentre lei non era presente. In Inghilterra era stata accolta con successo anche dall’aristocrazia locale. Il suo grande errore fu quello di rientrare da Londra; fu accusata di esservi stata per aiutare i nobili rifugiati in Inghilterra. Inoltre, con la caduta della monarchia, con la morte di Luigi XVI il 21 gennaio 1793 e quella della regina ghigliottinata il 16 ottobre dello stesso anno, Jeanne venne associata proprio a quelle persone che non l’avevano accettata, definita pubblicamente nel suo processo con il nome di catin royal (p*****a reale). La sua disastrosa fama successiva fu dovuta proprio al processo che ebbe e alle accuse ricevute, pesanti e volgari, come amante del re e sfruttatrice del popolo.

Il Terrore si prese la sua vittima: Jeanne figlia del popolo, donna vissuta alla luce di un periodo combattuto dalla rivoluzione fino a volerlo cancellare insieme ai suoi protagonisti. La ghigliottina la separerà dalla vita; lei, ormai simbolo di una classe odiata da sterminare.

Come molti studiosi hanno recentemente indicato, questa donna, dietro una sua apparente leggerezza, aveva combattuto una vita difficile fin dalla sua nascita; anche all’apice del suo successo era rimasta generosa e forte. Non si era mai rassegnata a un unico destino di donna bella e aveva reagito, appena possibile, contro il maschilismo imperante di quella società, una volta uscita da quella corte che peraltro le aveva dato la possibilità di rendersi autonoma finanziariamente, di scalarla e di amministrare i suoi beni con una notevole perizia.

Sì, una donna moderna.



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