Skip to main content

Caro Navalny, non resteremo inerti. L’intervento di Angioli

Di Matteo Angioli

“L’unica cosa necessaria al trionfo del male è che le persone buone non facciano niente”, diceva l’oppositore del regime di Putin. Non sarà così, scrive Matteo Angioli, segretario generale del Comitato globale per lo stato di diritto “Marco Pannella”

La morte di Alexey Navalny è un crimine terribile che, come detto dal presidente americano Joe Biden, sciocca ma non stupisce. In molti lo temevano da tempo. Il destino del coraggioso oppositore russo, che scelse di rientrare in Russia nel gennaio 2021 ben sapendo i rischi a cui andava incontro, è ora accomunato quello di altri avversari di Vladimir Putin che hanno trovato la morte nel regime russo di Putin: la giornalista Anna Politkovskaya, il leader politico Boris Nemtsov e l’avvocato Sergei Magnitsky, solo per citarne alcuni.

È una Russia dove la negazione del diritto si traduce spesso in negazione della vita. Arrestato poco dopo il suo atterraggio a Mosca dalle autorità del dal Cremlino, Navalny ha subito un processo farsa e speso gli ultimi tre anni ai lavori forzati, spesso costretto all’isolamento in carcere.

Siamo di fronte all’ennesimo crimine che avviene a poche settimane dall’imbroglio elettorale che si terrà in Russia dal 15 al 17 marzo e dal quale è stato escluso Boris Nadezhdin, il candidato più noto che si era schierato contro Putin e la guerra in Ucraina.

Intanto, la moglie di Navalny, intervenendo alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha detto: “Voglio che Putin, il suo entourage, i suoi amici e il suo governo sappiano che saranno ritenuti responsabili di ciò che hanno fatto al nostro Paese, alla mia famiglia e a mio marito. E quel giorno arriverà molto presto”.

Siamo in molti a sperare che quel giorno, il giorno della fine del regime putiniano, venga e apra a un periodo di transizione verso una Russia democratica. Quel giorno sarà la fine di una cleptocrazia che ha costantemente mietuto vittime tra oppositori politici, giornalisti, attivisti per i diritti umani, avvocati, ammorbando il mondo con l’ennesimo atto criminale e genocidario compiuto quasi due anni fa con l’attacco militare all’Ucraina.

Nel 2006, Marco Pannella fu l’unico politico italiano a recarsi a Mosca al funerale di Politkovskaya, uccisa il 7 ottobre di quell’anno da alcuni sicari. Le inchieste che la giornalista aveva condotto con la testata per cui lavorava, Novaya Gazeta, sui crimini commessi in Cecenia dall’esercito russo le erano valse già numerose minacce. Pannella dichiarò che ancora una volta “dove c’è strage di diritto c’è strage di popoli”. Dopo 18 anni quella strage è continua, portando via con sé Navalny.

Il pensiero allora non può che andare a tutti quegli attivisti per i diritti umani in questo crescendo di violenza del regime putiniano, sia a livello nazionale che globale. Sono persone che, benché detenute, continuano a mobilitare le coscienze e perciò devono essere protette. Come il giornalista Vladimir Kara-Murza, anch’egli incarcerato per aver criticato la guerra contro l’Ucraina, condannato a 25 anni di reclusione con un processo privo delle più elementari garanzie previste dalla legge.

In un video registrato in previsione del suo eventuale assassinio e postato poche ore dopo la notizia della sua morte, Navalny dice: “Non siete autorizzati ad arrendervi. Se decidono di uccidermi, significa che siamo incredibilmente forti. L’unica cosa necessaria al trionfo del male è che le persone buone non facciano niente. Quindi, non siate inerti”.

Non lo saremo, Alexei.



×

Iscriviti alla newsletter