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Ecco come i servizi russi reclutano studenti stranieri a Mosca

Report del think tank britannico Rusi pubblicato mentre in Italia si parla di Cecchini, Avondet e Trogu: l’intelligence militare di Putin ha “un budget per pagare borse di studio e costo della vita”

Irene Cecchini, Amedeo Avondet e Camilla Trogu sono tre giovani italiani che vivono a Mosca.

La prima è una studentessa di Mgimo, una delle più prestigiose università russe che però compare nella lista di 21 “entità” contro cui il Canada, membro del G7, ha imposto sanzioni il 30 settembre perché “complici” del Cremlino nell’aver “generato e diffuso disinformazione e propaganda”. È entusiasta della Russia. “Quella che vedete in Italia non è la realtà della Russia: qui si sta benissimo. È un Paese libero che dà opportunità a tutti”, ha detto Cecchini in un’intervista al quotidiano La Stampa. Invece, “quella che vedete in Occidente è una narrazione distopica frutto della propaganda anti-russa”, ha aggiunto spiegando che Vladimir Putin non è un dittatore.

È stata lei – difficilmente in maniera spontanea, considerati la situazione e il contesto internazionale – a servire la domanda a cui Putin ha risposto spiegando che “l’Italia ci è sempre stata vicina, ricordo come sono stato accolto da voi, mi sono sempre sentito a casa”. Parole che rientrano in quella che poche ore prima l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, capo di stato maggiore della Difesa e prossimo presidente del Comitato militare Nato, aveva definito “una strategia di disinformazione russa” che si sta intensificando nei mesi precedenti le elezioni europee e americane e “che vede impegnato in prima fila” lo stesso Putin “con l’obiettivo di disorientare le nostri opinioni pubbliche”.

Il secondo, Amedeo Avondet, studente di giurisprudenza all’Università di Torino, è il leader di Italia Unita, nome che riprende quello del partito di Putin, Russia Unita. Ha un passato tra i giovani di Fratelli d’Italia, oggi rinnegato, una visione ideologica aderente a quella di Putin e un ego importante con ambizioni da presidente del Consiglio: “Se la Russia dovesse darci soldi lo sapreste subito, perché sarei pronto a sfidare [Giorgia] Meloni come futuro primo ministro”. Ci fossero anche i soldi, sarebbero tre su quattro gli elementi presenti dell’acronomio Mice (money, ideology, compromise/coercion, ego) che descrive i motivi per i quali un soggetto può tradire il suo Paese.

È colui che, da Mosca, sul semi-sconosciuto Corrispondente, giornale online italiano e filorusso (registrato con partita Iva falsa, come evidenziato da Alex Orlowski), ha rivelato al mondo la notizia dell’uccisione del pilota russo disertore Maxim Kuzminov. Un “traditore” che “meritava” di morire, ha detto ieri Avondet ospite a L’aria che tira su La7, trasmissione durante la quale si è detto estraneo ai servizi segreti russi pur condividendone gli obiettivi. Dopo la morte di Alexey Navalny, lo stesso giovane aveva tenuto un discorso in piazza Cordusio, a Milano, definendo l’oppositore “non un eroe, ma un bastardo”. E, sempre ospite a L’aria che tira, ha rilanciato una fake news vecchia di tre anni: un video che ritrarrebbe Navalny chiedere soldi all’intelligence britannica per la campagna elettorale. In realtà, si trattava di un suo collaboratore, Vladimir Ashurkov, che cerca finanziamenti per l’ong anticorruzione Fbk.

La terza, Camilla Trogu, anche lei oggi a Mosca, sui social elogia la vita in Russia, la sanità, i divertimenti per i turisti, la presunta libertà sotto il regime di Putin. Recentemente ha anche partecipato a un convegno dal titolo “Il nazismo ucraino nel XXI secolo” nella sede dell’agenzia di stampa Tass.

Un recente rapporto del think tank britannico Royal United Services Institute ha evidenziato come gli studenti stranieri nelle università russe siano “un obiettivo importante dell’intelligence militare russa”, ovvero il Gru. Il cosiddetto Centro 161 dispone di “un budget per pagare borse di studio e costo della vita come metodo di reclutamento” per studenti “provenienti dai Balcani, dall’Africa e da altre regioni in cui sono ancora attivi scambi con le istituzioni educative russe”. “Poiché questi individui appartengono spesso alle élite dei Paesi obiettivo, sono di per sé preziose fonti di intelligence. Ma sono anche degli utili facilitatori”, prosegue il rapporto.

Sarebbe un errore, però, pensare che questi siano gli unici strumenti della guerra ibrida mossa dalla Russia all’Occidente per destabilizzare i Paesi e indebolire il sostegno all’Ucraina, anche – ma non soltanto – in vista delle elezioni. L’errore che si rischia di compiere, infatti, è quello di isolare i fenomeni. Accade spesso, quando si parla di disinformazione, di considerarla una questione indipendente da altri. Al contrario, le attività ibride sono come puntini da collegare per ottenere la figura completa. Questo, per via delle loro caratteristiche: sono cioè condotte su diversi domini (anche cyber), da attori non sempre “classici” (come aziende, media e diaspore all’estero utilizzati come proxy), sono anche facilmente negabili, sempre un gradino sotto la soglia del conflitto armato, e soprattutto coordinate.

(Nella foto: Putin nel 2006 in visita al nuovo quartier generale del Gru)



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