Skip to main content

I rischi per l’Italia del jihadismo post 7 ottobre. Scrivono Gunaratna e Conti

Di Rohan Gunaratna e Francesco Conti

Tra vecchie e nuove conoscenze terroristiche spuntano le Brigate al-Furqan che minacciano il Mediterraneo. L’analisi di Rohan Gunaratna, professore di security studies alla Nanyang Technology University, Singapore, e Francesco Conti, ricercatore in materia di terrorismo jihadista

A più di quattro mesi dall’inizio della guerra a Gaza, a cui ha fatto seguito la più recente escalation nel Medio Oriente, lo scenario rischia di farsi ulteriormente più complesso. Alcuni attori jihadisti, sia nuovi sia vecchie conoscenze dell’antiterrorismo occidentale, stanno al momento cercando di farsi spazio all’interno della crisi geopolitica in corso.

Prima di tutto, il primo ministro iracheno Mohammed Shia’ al-Sudani ha iniziato a chiedere, sempre meno velatamente, un ritiro delle truppe americane dal Paese. Ciò nella cornice dei multipli attacchi ai danni delle guarnigioni americane in Siria, Iraq e Giordania, e le successive risposte americane contro le milizie filoiraniane. Il personale militare a stelle e strisce nei tre Paesi menzionati (che ammonta a più di 6.000 unità) è principalmente impegnato in missioni di advise and assist a favore delle forze di sicurezza locali. Ciò nell’ottica di migliorare la loro performance contro le sacche di resistenza dallo Stato Islamico. Inoltre, i contingenti statunitensi compiono anche missioni di sorveglianza e raccolta intelligence.

Con lo scoppio della guerra, le missioni antiterrorismo sono divenute sempre meno frequenti, data la crescente ostilità dell’ambiente dove si trovano a operare le forze americane e i loro alleati. È quindi molto probabile che, con un ritiro improvviso degli Stati Uniti, lo Stato Islamico possa facilmente approfittarne per un’eventuale ripresa.

Il gruppo jihadista ha dimostrato di essere un attore ostile molto resiliente, sopravvivendo a molteplici operazioni antiterrorismo che hanno portato alla morte di suoi importanti leader, finanziatori e strateghi. Nonostante lo Stato Islamico sia attualmente solamente uno lontano parente del gruppo che imperversava fra Siria e Iraq quasi un decennio fa, esso continua ad avere alcune roccaforti nelle aree più remote dell’Iraq. Queste sono principalmente localizzate nelle montagne Hamrin (che delimitano di fatto il confine con il Kurdistan) e nelle aree più desertiche della provincia di Anbar. Nello scorso mese, il gruppo è riuscito a realizzare diversi attentati. Attacchi dello Stato Islamico sono stati infatti registrati sia contro le forze di sicurezza governative che contro i gruppi paramilitari sciiti. Inoltre, l’organizzazione ha anche rivendicato l’attentato contro una chiesa di Istanbul del 28 gennaio, dove un commando di due uomini ha ucciso un fedele durante la messa domenicale. Tale rischio di un ritorno sulla scena dello Stato Islamico non è stato sottolineato solo dagli analisti occidentali: infatti, recentemente, il generale Mazloum Abdi Kobane, comandante delle Forze democratiche siriane (il più importante alleato degli Stati Uniti durante la campagna anti Stato Islamico) ha lanciato un simile monito.

Spostandoci dall’Iraq allo Yemen, altro fronte caldo dell’attuale crisi geopolitica, possiamo osservare un altro gruppo terrorista, anch’esso noto per la sua resilienza, che sta cercando il ritorno sulla scena. Secondo quanto affermato dal più recente rapporto del Consiglio di sicurezza  delle Nazioni Unitesul terrorismo jihadista, al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) rimane una minaccia alla sicurezza internazionale. Nelle scorse settimane il gruppo è riuscito a porre in essere diversi attacchi esplosivi nelle provincie meridionali di Shabwah e Abyan, colpendo forze di sicurezza locali. Va ricordato che Aqap è l’affiliato di al-Qaeda con la più spiccata propensione a colpire l’Occidente. Questa sua inclinazione è stata rispecchiata dalla propaganda del gruppo. Aqap, infatti, è stato il primo gruppo jihadista a creare riviste online di lingua inglese, per radicalizzare giovani musulmani in Stati Uniti e in Europa. Inoltre, il gruppo poteva contare anche fra I più noti esperti di esplosivi all’interno della galassia jihadista.

Tali caratteristiche avevano fatto di Aqap il gruppo terrorista più temuto dall’antiterrorismo americano fino all’ascesa dello Stato Islamico. Jihadisti di al-Qeda nella Penisola Arabica che hanno colpito in Occidente comprendono i fratelli Cherif e Said Kouachi e Mohamed Saeed Alshamrani. I primi sono gli autori del massacro di Charlie Hebdo del 2015. Il secondo, militare saudita, uccise quattro colleghi americani in Florida alla fine del 2019. Con lo scoppio della guerra a Gaza, il gruppo yemenita ha nuovamente esortato i suoi seguaci, inclusi i “lupi solitari” in Occidente, a colpire. Un altro recente sviluppo che riguarda Aqap è la creazione di un’unità specializzata nell’uso dei droni. Il gruppo sta attualmente cercando di sviluppare l’utilizzo di droni kamikaze. Tale sistema d’arma sta dimostrando tutta la sua letalità e flessibilità tattica nel conflitto in Ucraina. Questi fattori, assieme al relativo basso costo e alla facilità di utilizzato, potrebbero farne l’arma prediletta del gruppo jihadista yemenita.

Passando alla dimensione marittima, gli attacchi Houthi contro le navi commerciali che transitano presso lo stresso di Bab el-Mandeb continuano ormai a cadenza quotidiana. Tali azioni possono avere importanti conseguenze aldilà dell’immediato Teatro operativo. Gli attacchi di Ansar Allah (il nome ufficiale del movimento Houthi) hanno già portato alcune società di shipping a dirottare parte dei loro traffici verso rotte alternative al Mar Rosso, per questioni ovviamente di sicurezza. Tali decisioni hanno il potenziale di causare conseguenze economiche negative per diversi paesi europei, soprattutto quelli che si affacciano sul Mediterraneo. In questo frangente, l’Italia risulterebbe uno dei Paesi più esposti, come confermato da Antonio Tajani e Guido Crosetto, ministri italiani rispettivamenti di Esteri e Difesa. Al momento, però, la più immediata vittima degli attacchi Houthi sembrerebbe l’Egitto. Nel Paese dei faraoni, le entrate derivanti dal Canale di Suez sono una fetta importante dell’economia nazionale. Secondo dati di Bloomberg, il mese di gennaio ha visto un calo del 50% di tali entrate, portando a un impatto immediato. Questo fattore, se analizzato nel lungo periodo, potrebbe avere riflessi importanti sul terrorismo. La privazione socioeconomica è riconosciuta da quasi tutti gli esperti in materia come una delle cause che può portare a un processo di radicalizzazione. Ciò, unito all’attrattiva ideologica della causa palestinese, potrebbe portare a un ritorno del terrorismo in Egitto, nonostante il pugno di ferro adottato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi nei confronti della militanza armata nel Sinai.

In questo specifico teatro è stato invece osservata la recente entrata sulla scena di un nuovo gruppo, le Brigate al-Furqan. Questa nuova entità ha immediatamente proclamato la sua volontà di colpire Israele. Nel primo video propagandistico prodotto dal gruppo, che sembra non affiliato né allo Stato Islamico né ad al-Qaeda, la camera si è focalizzata su una foto di Mohamed Salah. Questo il nome del giovane poliziotto egiziano che lo scorso giugno uccise tre soldati israeliani presso il valico di Nitzana. Sia le autorità israeliane che quelle egiziane hanno subito confermato l’assenza di legami con organizzazioni terroristiche da parte dell’attentatore, che potrebbe però rappresentare un modello di futuro modus operandi. A rendere la faccenda ancora più nebulosa, un gruppo dallo stesso nome era emerso sempre nel Sinai più di un decennio fa. Nell’estate del 2013, le Brigate al-Furqan avevano rivendicato diversi attacchi con razzi e armi automatiche contro navi portacontainer in transito nel Canale di Suez. Il gruppo scomparve subito dopo e finì quindi nel dimenticatoio delle agenzie di intelligence occidentali. Con l’attuale volatilità della sicurezza attorno alle rotte commerciali marittime per il Mar Rosso, ulteriori minacce in prossimità del Mediterraneo, come quelle passate, avrebbero il potenziale di peggiorare ulteriormente la situazione economica. . Con l’Italia che rischierebbe di essere ancora uno dei Paesi impattati più negativamente dal punto di vista economico.

×

Iscriviti alla newsletter