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Putin si ferma solo armando Kyiv. Parla il diplomatico russo Bondarev dall’esilio

Dalla Svizzera, parla il funzionario che ha lasciato il servizio in protesta con l’invasione dell’Ucraina: il leader ha scommesso tutto sulla guerra e se dovesse perdere avrebbe vita breve, spiega. Chi dopo di lui? Qualcuno che cercherà la pace, risponde

Boris Bondarev, 44 anni, ha lasciato il servizio diplomatico russo nel maggio del 2022, in protesta con la cosiddetta “operazione militare speciale”, ovvero l’invasione dell’Ucraina lanciata dal leader russo Vladimir Putin il 24 febbraio di quell’anno. Oggi vive, in esilio, con la moglie e il loro gatto in Svizzera, dove aveva prestato servizio dal 2019 fino alle dimissioni come diplomatico della rappresentanza russa alle Nazioni Unite di Ginevra.

Come si sente?

Non posso lamentarmi. Vivo qui in Svizzera e credo di stare meglio di molti altri russi che hanno lasciato il Paese. Cerco di fare tutto il possibile per essere utile in questa situazione, per attirare l’attenzione su alcune questioni che ritengo importanti, per spiegare che cosa sta succedendo e come affrontarlo.

Si è mai pentito della scelta?

A volte penso che se non mi fossi dimesso avrei il mio lavoro, il mio stipendio e il mio appartamento a Mosca. La mia vita quotidiana sarebbe più o meno stabile. Non dipenderei dall’aiuto svizzero. Ma non sarei felice dovendo sopportare tutta questa follia. Penso che la libertà di parola e di pensare in modo indipendente sia qualcosa di molto più prezioso. Credo sia molto meglio che rimanere in una relativa comodità ma sentirsi come uno burattino.

Ha ricevuto minacce di morte da allora?

No.

Che cosa pensa dalle morte di Alexey Navalny?

Non sono sicuro che sia stato tecnicamente ucciso. Potrebbe essere morto a causa delle condizioni a cui era sottoposto per tre anni e nonostante le quali ha sorprendentemente conservato il suo buon umore e il suo senso dell’umorismo. Non credo che ne sapremo di più in questo momento. Forse qualche giorno in futuro, quando ci sarà un’indagine adeguata, allora sapremo la verità.

C’è un messaggio da parte del leader Putin nella morte di Navalny?

Il messaggio è solo che chiunque agisca attivamente contro di lui sarà eliminato, punito, imprigionato o quantomeno esiliato. Se Navalny è stato ucciso, allora Putin potrebbe aver voluto assicurarsi che non ci siano elementi in grado di disturbare l’opinione pubblica prima delle elezioni. Ma non credo più che Navalny fosse davvero una spina nel fianco di Putin. Era il più forte e il più brillante, ma non era il solo. Basti pensare a Vladimir Kara-Murza e Ilya Yashin. Ora vedremo i funerali, se ci saranno.

In che senso?

Abbiamo visto molte persone portare fiori in memoria di Navalny. E non credo che Putin voglia manifestazioni da centinaia di migliaia di persone che in tutta la Russia si riuniscono per piangere qualcuno che è morto in prigione. Quindi, anche in questo caso, parlare della morte di Navalny non sembra nell’interesse di Putin. Ma sappiamo anche che Putin ha fatto molte cose che non sembravano essere nel suo interesse. Non possiamo escludere nulla.

Putin teme la reazione occidentali per la morte di Navalny?

Non credo. Putin teme l’azione, non la reazione, dell’Occidente. C’è una favola russa del XIX secolo: un cuoco entra in cucina e vede un gatto sta mangiare delle carne. “Come ti permetti? Non dovresti farlo”, gli dice. Il gatto lo ascolta, ma continua a mangiare. L’Occidente sta facendo come quel cuoco e Putin come quel gatto. Perché non c’è una risposta reale. Putin si preoccuperebbe di una risposta come l’invio di missili all’Ucraina. Delle chiacchiere, invece, ride.

La forza è l’unico linguaggio che Putin comprende?

Sì. Nella mentalità russa il concetto di rispetto è molto legato a quello di paura. E per Putin si può ottenere il rispetto di qualcuno spaventandolo. È abituato alle critiche, anche perché vede il sostegno di Stati Uniti ed Europa all’Ucraina diminuire. Solo mostrandogli forza, inviando armi a Kyiv, allora inizierà a riflettere se si è spinto troppo oltre e non sia giunto il tempo di negoziare.

Rispetto inteso come paura è un concetto molto mafioso. La Russia di Putin è uno Stato mafioso?

Sì, anche se è più complicato. Lo Stato russo è composto da due livelli. Il più alto è mafioso, composto da Putin e i suoi compari, cioè alcuni ministri, vertici delle società statali, uomini d’affari ma anche figure che pur non avendo un incarico ufficiale sono tra coloro che decidono. Poi tutte le decisioni informali scendono al secondo livello, dove vengono formalizzate. Poiché il livello più alto è fatto di relazioni informazioni, non di procedure e meccanismi, senza Putin o uno dei suoi compari l’intero sistema finirebbe a rischio.

Putin è ancora in controllo di questo sistema?

Se Putin vince la guerra potrebbe rimanere al comando ancora per diversi anni. Potrebbe imporre un accordo di pace all’Ucraina e all’Occidente prevedendo la rimozione delle sanzioni contro la Russia in modo da rallentare il declino dell’economia russa. Ora ha 71 anni. Potrebbe avere ancora 10 o 20 anni di vita, durante i quali potrebbe anche tentare di ripetere la sua “buona esperienza” in Ucraina con altri Paesi, anche membri della Nato. La situazione sarebbe destinata ad aggravarsi in ogni caso.

E se dovesse perdere la guerra?

Se dovesse perdere, potrebbe avere vita breve. Le tensioni nel sistema crescerebbero molto più velocemente. Quindi, dipende per lo più dai Paesi occidentali, se vogliono che l’Ucraina vinca e Putin perda oppure, come scrive Elon Musk su X, che la Russia non sarà mai sconfitta perché la Russia non è mai stata sconfitta. Ma la Russia è stata sconfitta molte volte nella sua storia, come qualsiasi altro Paese. In ogni caso, credo che Putin abbia scommesso la sua vita e la sua carriera su questa guerra. Altrimenti non l’avrebbe iniziata.

Esiste un’alternativa a Putin?

È difficile da vedere in questo momento. Ma l’anno scorso con l’avventura di Yevgeny Prigozhin abbiamo visto che persone armate motivate e ben guidate che hanno potuto fare quasi tutto senza che nessuno nella popolazione si opponesse. Dunque, se la situazione dovesse cambiare, qualcuno potrebbe farsi avanti.

A volte sui media occidentali qualcuno solleva il dubbio che il successore di Putin possa essere perfino più pericoloso di lui, non fosse altro perché Putin è qualcosa di noto. È così?

Nessuno può saperlo. Ma questa logica ha un problema di base: Putin non è immortale. La guerra in Ucraina è una sua creatura ma la maggior parte delle persone intorno a lui non l’ha mai voluta. Oggi lo seguono perché non vedono altre opzioni. Ma una volta che lui sarà fuori dai giochi potrebbero cercare di scaricare su di lui le responsabilità della guerra, di lasciarsela alle spalle e trovare un accordo con l’Ucraina e per tornare alla normalità anche con l’Occidente, da cui non vogliono allontanarsi.

Come mai?

I loro occhi sono ancora puntati sull’Occidente, sulle banche svizzere, sulle ville di Miami, su quelle sul lago di Como. I proprietari non vogliono andare in vacanza in Cina o a Dubai. Vogliono andare in Italia, per esempio, anche per ragioni di vicinanza culturale. C’è un altro elemento.

Quale?

Soltanto il 5 percento dei russi è a favore della guerra. È una minoranza molto rumorosa perché sa di avere il sostegno del governo. Ma basta guardare quante persone che, con coraggio, hanno portato fiori in memoria di Navalny rischiando il carcere. Al contrario, ai funerali dei sostenitori della guerra non si è presentato nessuno. E nessuno ha manifestato contro l’arresto del radicale Igor Girkin, famoso per l’invasione del Donbass nel 2014, in carcere per avere criticato Putin di essere stato troppo debole contro l’Ucraina. Per questo, credo che chi verrà dopo Putin cercherà di fermare la guerra e avviare negoziati di pace. Come lo farà? Dipende da chi sarà.



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