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La vicenda Vannacci è sfuggita di mano. Il corsivo di Cangini

Lo sviluppo della vicenda Vannacci appare coerente col suo inizio. Una vicenda arcitaliana fatta di piccole furbizie, di grandi vanità e di modesti calcoli personali. Una vicenda assai poco marziale, destinata presumibilmente ad imporsi più che sull’alta politica, sulla bassa cinematografia. Insomma, un perfetto cinepanettone. Il corsivo di Andrea Cangini

Se ci fosse stata una regia, sarebbe stata una regia dissennata. Nello spazio di pochi giorni, infatti, si è avuta notizia di ben tre procedimenti ai danni del generale Roberto Vannacci. Due militari e uno civile. Il primo procedimento riguarda la sua sovraesposizione mediatica, e si è concluso con 11 mesi di sospensione disciplinare e relativo dimezzamento dello stipendio per aver “compromesso il prestigio e la reputazione” dell’Esercito, esprimendo tesi personali divisive. Il secondo procedimento riguarda la sua presunta gestione illecita di fondi e rimborsi spese durante l’incarico di addetto militare all’ambasciata italiana di Mosca. Il terzo è un’inchiesta della magistratura ordinaria per “incitamento all’odio razziale”.

La terza accusa è grottesca, presumibilmente si concluderà con un proscioglimento, ma ha consentito al generale di ergersi a vittima e al suo padrino politico, Matteo Salvini, di prenderne le difese in nome della libertà di espressione. Un regalo inaspettato. Soprattutto perché giunto in coincidenza col procedimento disciplinare, che è stato di conseguenza letto attraverso le medesime lenti “garantiste”. Fonti della Difesa spiegano che di tutto si è trattato, fuorché di un calcolo. La burocrazia, male endemico dell’Italia, è sovrana nella Pubblica amministrazione. E lo Stato Maggiore della Difesa non fa eccezione. “Ci sono voluti ben otto mesi per instruire la pratica, fare i necessari accertamenti e giungere infine ad emanare il provvedimento disciplinare: un’eternità”, spiegano, sconsolati, al ministero.

Alla lentezza delle burocrazie militari si è poi associata la velocità dei giornalisti. L’inchiesta che avrebbe dovuto realmente azzoppare la candidatura del generale era, infatti, quella, militare, relativa alle “spese pazze” moscovite. Ma nessuno poteva immaginare che la notizia sarebbe stata intercettata dalla giornalista Fiorenza Sarzanini e pubblicata di conseguenza sul Corriere della Sera proprio nei giorni in cui i media davano conto degli altri due procedimenti. Ne è così risultato un caos che ha avuto l’effetto di confondere le idee ai cittadini, di offrire argomenti agli amici di Vannacci e di far quasi sparire dai radar il tema delle presunte appropriazioni illecite.

Lo sviluppo della vicenda Vannacci appare dunque coerente col suo inizio. Una vicenda arcitaliana fatta di piccole furbizie, di grandi vanità e di modesti calcoli personali. Una vicenda assai poco marziale, destinata presumibilmente ad imporsi più che sull’alta politica, sulla bassa cinematografia. Insomma, un perfetto cinepanettone.

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