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Come evitare sovrapposizioni tra Aise e Aisi? Le esperienze di Usa e Francia

Nella relazione diffusa dall’intelligence italiana la scorsa settimana manca il prospetto degli output informativi delle due agenzie che da anni dava l’idea dei doppioni che il sottosegretario Mantovano vuole risolvere. Ma come? Washington e Parigi hanno scelto un approccio più orizzontale dentro i singoli servizi (con i centri missione) e per migliorare la collaborazione tra essi

Una delle novità della Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza, pubblicata mercoledì, è un’assenza. Quella del prospetto dell’output informativo delle due agenzie di intelligence, per anni presenti in questi documenti preparati dal Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica.

Al netto delle voci “Paesi” e “Proliferazione di armi di distruzione di massa, di armamento convenzionale e tecnologie spaziali” che sono esclusiva dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna), le altre (“Spionaggio, ingerenza e minaccia ibrida”, “Sicurezza ambientale e del territorio”, “Immigrazione clandestina”, “Criminalità organizzata”, “Terrorismo ed estremismi”, “Spazio cibernetico” e “Sicurezza economico-finanziaria”) raccontavano, anche visivamente, quelle “sovrapposizioni” tra Aise e Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna) che il sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, ha in mente di risolvere.

Anche per questo, è “in corso una doverosa riflessione pre-politica”, con il coinvolgimento di istituzioni e accademici, sulla riforma dell’intelligence italiana, come ha spiegato lo stesso membro del governo Meloni la scorsa settimana, alla presentazione della relazione annuale, rispondendo a una domanda di Formiche.net.

Dunque, tra gli obiettivi, sembra esserci anche il superamento della distinzione tra interno ed esterno. Secondo molti è una necessità urgente nel contesto globale e nel panorama attuale delle minacce. Si tratta di un approccio che “ha fatto il suo tempo”, ha sostenuto Giampiero Massolo, già direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Repubblica (Dis), in una recente intervista rilasciata a questo giornale.

Ma come? Altri Paesi occidentali, alleati dell’Italia, hanno scelto optato da diversi anni per un approccio più orizzontale.

Negli Stati Uniti e in Francia, per esempio, si è deciso di eliminare i “silos” interni ai servizi per migliorare l’interdipendenza tra le varie agenzie, anche al fine di superare impostazioni culturali e professionali non sempre uguali. Quello di rafforzare la cooperazione tra servizi è un tema che da sempre riguarda gli Stati Uniti, la cui comunità d’intelligence è composta da ben 18 agenzie. È stato evidente con le failure dell’11 settembre 2001. Eventi che hanno portato, infatti, all’istituzione, con l’Intelligence and Reform and Terrorism Prevention Act del 2004, della figura del direttore dell’Intelligence nazionale (incarico ricoperto oggi da Avril Haines) per dirigere e supervisionare il lavoro dell’intera “comunità d’intelligence”, come viene chiamata negli Stati Uniti. È una posizione equiparabile all’italiano direttore generale del Dipartimento delle informazione per la sicurezza in Italia (oggi Elisabetta Belloni), che è la struttura di coordinamento dei due servizi di intelligence. Recentemente, al Congresso americano è stata presentata una proposta di legge, l’Intelligence Community Joint Duty Improvements Act, che rafforzerebbe il ruolo di coordinamento da parte del vertice della comunità al fine di migliorare la condivisione di informazioni tra le varie organizzazioni che ne fanno parte.

Allo stesso tempo alcuni Paesi hanno lavorato per portare questa visione meno verticale anche all’interno delle singole agenzie. Sempre negli Stati Uniti e in Francia è stata imboccata la strada, già intrapresa in Israele, dei cosiddetti “Mission Center” (centri missione), che riuniscono sotto lo stesso tetto operativi e analisti che si occupano di questioni specifiche. Ecco come li definisce l’americana Central Intelligence Agency, che negli anni scorsi ne ha istituiti due nuovi (in totale sono “quasi una dozzina”, si legge sul sito), uno dedicato alla Cina e un altro alla tecnologia: “I Mission Center combinano una gamma completa di capacità operative, analitiche, di supporto, tecniche e digitali. I funzionari di ogni divisione lavorano insieme come un’unica entità per affrontare le minacce presenti e future”.

Ma che cosa servirebbe per adottare approcci più orizzontali nell’intelligence italiana? Per quanto riguarda l’organizzazione interna delle agenzie sono necessari dei regolamenti, ovvero dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, documenti che – per ovvie ragioni – sono secretati. È per superare la distinzione tra interno ed esterno, invece, che serve intervenire a livello parlamentare – e in tal caso farlo auspicabilmente in maniera bipartisan data la materia in ballo – alla legge che regola il Sistema, la 124 del 2007, distribuendo i compiti tra i due servizi (Aise e Aisi) e attribuendo al Dis il coordinamento degli stessi.

Sempre negli Stati Uniti ci sono altri due temi al centro dell’attenzione quando si parla di intelligence: l’importanza acquisita da metodi di raccolta informativa come l’open source, palesata dalla guerra in Ucraina; la cosiddetta over-classification, ovvero, per dirla con Haines, “Penso che si possa proteggere meglio i segreti se c’è un numero minore di cose segrete”. Questioni che non mancano anche nelle riflessioni in corso in Italia.

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