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Le anomalie della libertà di stampa all’italiana. La versione di Merlo

Siamo ormai arrivati ad un bivio: o proseguiamo con le prediche periodiche sulla libertà di informazione che non trovano, però, un oggettivo riscontro nella realtà concreta delle narrazioni quotidiane oppure si inverte decisamente la rotta e chi dovrebbe presiedere ad una corretta e trasparente libertà di informazione nel rispetto delle regole e delle stesse norme deontologiche si fa sentire con maggior vigore e forza

Ci sono alcuni principi scolpiti nella nostra Costituzione e che vanno rispettati e difesi perché rappresentano aspetti costitutivi ed essenziali della nostra cittadella democratica. E poi, purtroppo, ci sono delle modalità concrete che declinano quei sacri principi con metodi alquanto discutibili per non dire inquietanti. E l’esempio concreto ci viene offerto proprio in questi ultimi giorni, e per l’ennesima volta.

Al riguardo, per essere chiari e comprensibili, ci sono sostanzialmente due libertà di stampa nel nostro Paese. L’una, come dicevo all’inizio di questa riflessione, è quella scolpita nella Costituzione repubblicana che rappresenta una pietra miliare della democrazia italiana. L’altra, meno nobile ma purtroppo molto praticata, va sotto il nome – seppur un po’ volgare e me ne scuso – di “libertà di sputtanamento”. L’una, la prima, è un elemento costitutivo, decisivo ed essenziale che misura l’ancoraggio di un paese ad una cultura democratica, liberale e costituzionale. L’altra, la seconda, è un metodo che persegue scientificamente – seppur dietro a nobili principi – la demolizione della persona, la sua criminalizzazione politica e culturale e, di norma, la espone al pubblico ludibrio con sentenze inappellabili e giudizi sommari del tutto arbitrari.

Ora, sono proprio le vicende emerse in queste ultime settimane con l’ormai celebre spionaggio – il “verminaio”, per usare le parole del procuratore di Perugia Cantone – nei confronti di molti vip e non solo vip, che ripropongono, e per l’ennesima volta, il tema di che cosa significa concretamente nel nostro paese la cosiddetta libertà di informazione. Perché un conto è dar notizia di ciò che capita realmente e delle vicende che non sono note al grande pubblico attraverso il cosiddetto “giornalismo di inchiesta” seppur accompagnato anche dalla ormai nota e consolidata partigianeria e faziosità che caratterizzano gli organi di informazione nel nostro paese, sia della carta stampata e sia, e soprattutto, dei vari talk televisivi sempre più settari e di parte. Altra cosa, e radicalmente diversa, è l’attacco sistematico e permanente alle persone, alla loro dignità, alla loro storia e al loro profilo. Il tutto condito da un giustizialismo senza limiti e senza confini.

Ed è proprio alla luce di questa banale considerazione, che sorge spontanea una semplice domanda. E cioè, quale dei due metodi oggi prevale? Al riguardo, non c’è alcun dubbio. Il secondo, cioè quello che fa dell’attacco violento e pretestuoso alle persone la sua ragion d’essere costitutiva. Il tutto, come da copione, sempre corroborato da nobili principi e solenni proclami riconducibili al dogma laico che il giornalista deve “pubblicare tutto ciò che sa” a prescindere da qualsiasi regola deontologica e professionale. E quindi, e di conseguenza, considerando del tutto irrilevanti le intoccabili “fonti” da cui proviene la notizia o il fango.

Un malcostume, questo, che ormai accomuna la stampa nazionale e, per emulazione, anche quella locale dove la demolizione delle persone è diventato quasi uno sport e una prassi intoccabili. E sempre e solo perché, e giustamente, la “libertà di informazione è sacra”.

Alla luce di questa concreta e tangibile situazione, siamo ormai arrivati ad un bivio. Ovvero, o proseguiamo con le prediche periodiche sulla libertà di informazione che non trovano, però, un oggettivo riscontro nella realtà concreta dei racconti e delle narrazioni quotidiane oppure si inverte decisamente la rotta e chi dovrebbe presiedere – si fa per dire – ad una corretta e trasparente libertà di informazione nel rispetto delle regole e delle stesse norme deontologiche si fa sentire con maggior vigore e forza senza obbedire solo e soltanto a disegni politici talmente noti e collaudati che non fanno neanche più notizia.

Si potrebbe quasi dire che “tertium non datur”. Perché, come ovvio, saranno soltanto i fatti concreti a dirci quale delle due linee prevarrà. E questo perché abbiamo terribilmente bisogno di avere una vera e autentica libertà di informazione come, al contempo, abbiamo l’altrettanto urgente necessità di salvaguardare il rispetto della persona nella sua interezza. Al di là e al di fuori della faziosità, del settarismo e delle strutturali tifoserie che ormai hanno invaso prepotentemente il giornalismo italiano.


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