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Bruxelles non ha ancora sciolto i nodi posti da De Gasperi. Preda spiega perché

Di Daniela Preda

Si è tornati a parlare di una difesa comune europea, ma nessuno sembra accorgersi della necessità che questa sia collegata a un governo europeo e a una statualità europea autonoma. Riappaiono nuovi nazionalismi, nuove pareti di odio, quelle pareti che erano state demolite settant’anni fa. Tornare alla visione di De Gasperi e dei padri fondatori può aiutarci oggi a dare risposte alle nuove sfide che l’Europa si trova ad affrontare. Il commento di Daniela Preda, professoressa di Storia contemporanea e di Storia e politica dell’integrazione europea presso l’Università di Genova

Talvolta la storia ha una rara capacità di stupirci. Nel 1945, la sfida per l’Europa era immane: si trattava di costruire la pace sul continente dopo le due grandi guerre mondiali, di porre le basi della democrazia e della difesa dei diritti dopo l’esperienza dei fascismi e del nazismo, di superare la crisi di civiltà in cui il Vecchio continente era caduto, sino all’obbrobrio dell’olocausto e dei campi di concentramento. Da quella grande crisi sono scaturite, kantianamente, soluzioni grandiose e solo pochi anni prima impensabili.

In cinque anni, dall’8 maggio 1945 – che segna la fine della Seconda guerra mondiale in Europa, al 9 maggio 1950 – quando Schuman propose di creare un pool europeo per il carbone e l’acciaio (Ceca) come primo passo verso la costruzione graduale di una federazione europea, nasceva, attraverso il diritto e facendo perno sulla riconciliazione franco-tedesca, un nuovo sistema di relazioni che supera la sovranità degli Stati.

Assumendo la leadership del processo di unificazione europea, di cui avvertivano le ragioni storiche, i padri fondatori dell’Europa (De Gasperi, Schuman, Adenauer, Spaak) si sono impegnati per costruire un nuovo ordine europeo, di carattere sovranazionale. Il loro sogno di unità europea è nato dalla loro lucida e matura presa di coscienza del legame stretto tra la violazione dei diritti dell’uomo e l’instabilità e il degrado delle relazioni internazionali. De Gasperi, in particolare, ha avanzato soluzioni antesignane.

La pace era al centro delle sue preoccupazioni e nella federazione europea egli individuava un “mito di pace” che avrebbe permesso di realizzare la democrazia a livello internazionale. Nel 1950 aderì dapprima al Piano Schuman e successivamente al Piano Pleven, la Comunità europea della difesa (Ced), ma subito propose obiettivi più avanzati rispetto a quelli degli altri leader europei, nella convinzione che la Ced non potesse precedere la fondazione costituzionale di uno Stato.

Temendo l’involuzione della Comunità in una sovrastruttura superflua, se non addirittura oppressiva, De Gasperi esortò a non costruire solo amministrazioni comuni, di carattere tecnico, e si fece paladino del collegamento dell’esercito europeo alla nascita di una “patria europea” che fosse “visibile, solida e viva”. Il trasferimento a livello europeo di parti importanti della sovranità nazionale avrebbe potuto essere compensato, infatti, solo creando le indispensabili istituzioni di una comunità democratica, in particolare un’assemblea rappresentativa eletta a suffragio universale.

Il diritto doveva essere innalzato al di sopra degli Stati e trovare espressioni istituzionali in precise norme giuridiche. Attraverso un’azione tenace e costante, riuscì a far convocare un’assemblea incaricata tra il 1952 e il 1953 di elaborare il primo progetto di statuto di una Comunità politica europea, ma ne vide presto il fallimento. Da allora l’Europa ha fatto grandi passi in avanti: ha creato un mercato unico, una moneta, si è estesa al di là di quella che un tempo era la cortina di ferro.

Dal 1979 il Parlamento europeo è eletto direttamente dai cittadini e ha acquisito progressivamente non solo competenze, ma anche poteri. Tuttavia, l’Unione europea non ha ancora affrontato e risolto i nodi fondamentali che De Gasperi aveva indicato come prioritari. I modi tecnocratici della sua realizzazione hanno prodotto proprio quelle conseguenze di disaffezione verso il progetto europeo da lui paventate, sino all’emergere di un aperto euroscetticismo.

La procedura di codecisione si applica ormai a circa il 90% della legislazione dell’Ue, ma è condivisa dal Parlamento europeo – che non ha ancora il potere di iniziativa legislativa – con un Consiglio che decide in larga misura all’unanimità. Si è tornati a parlare di una difesa comune europea, ma nessuno sembra accorgersi della necessità che questa sia collegata a un governo europeo e a una statualità europea autonoma.

Riappaiono nuovi nazionalismi, nuove pareti di odio, quelle pareti e quei muri che erano stati demoliti settant’anni fa. Guardare al passato non è dunque un esercizio vuoto. Tornare alla visione di De Gasperi e dei padri fondatori può aiutarci oggi a dare risposte alle nuove sfide che l’Europa si trova ad affrontare.

Commento pubblicato nell’ultimo numero della rivista Formiche


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