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Media filo-russi e pubblicità. Ecco le tattiche del Cremlino per finanziare le fake news

Di Antoinette Nikolova

Le aziende occidentali stanno continuando, inconsapevolmente, a finanziare, per fini pubblicitari, outlet d’informazione che diffondono fake news e propaganda del Cremlino. È il momento di sviluppare una strategia per affrontare questo problema e superare queste dinamiche da Guerra fredda. L’analisi di Antoinette Nikolova, direttore della Balkan free media initiative

Nel 2024, l’Unione europea e oltre sessanta nazioni nel mondo, inclusi gli Stati Uniti, si apprestano a votare in un contesto globale segnato da due conflitti militari con impatto diretto sulla sicurezza e sulla stabilità della comunità euro-atlantica. Secondo il Global risk report 2024, la disinformazione e l’interferenza straniera rappresentano il “più grande pericolo globale a breve termine”, influenzando significativamente la democrazia. Europa e Italia sono bersagli di interferenze da parte di paesi come Russia e Cina, che riescono a sfruttare i finanziamenti pubblicitari di grandi aziende, le quali finanziano inconsapevolmente piattaforme che veicolano disinformazione. Dalla caduta del muro di Berlino, la disinformazione è diventata un’arma sempre più importante e pervasiva nelle guerre ibride.

A meno di cento giorni dalle elezioni europee, l’Unione europea è nel mirino della propaganda, in particolare quella russa, che cerca di dividere le società democratiche disseminando false narrazioni, utilizzando le cosiddette “cyber troops”, attivando bot e troll per sfruttare la portata e la popolarità dei social network. Il Cremlino ha reso operativo un ecosistema di disinformazione e propaganda, un modo rapido ed economicamente conveniente per destabilizzare le società. La manipolazione delle informazioni e le interferenze hanno raggiunto livelli industriali. Nel 2021, Mosca ha stanziato più di un miliardo di euro dal bilancio statale russo per i media. Nei primi mesi dell’invasione dell’Ucraina, la spesa per la propaganda sui media è triplicata. Il fondatore del gruppo di mercenari Wagner, Yevgeny Prigozhin potrà anche essere morto, ma le sue “cyber farms”, le fabbriche di propaganda e disinformazione, sono passate direttamente al servizio di Mosca, aggiungendo un’altra voce nel capitolo delle risorse impiegate. Alfredo Mantovano, sottosegretario alla presidenza del consiglio dei Ministri con delega alla sicurezza, ha dichiarato che l’Intelligence italiana ha scoperto che alcuni canali social pro-russi tentano di legittimare l’idea che le proteste degli agricoltori in Europa siano dovute agli effetti economici delle sanzioni occidentali sulla Russia.

È improbabile che gli obiettivi complessivi della disinformazione russa odierna siano cambiati significativamente rispetto all’era sovietica. Secondo il Kgb Lexicon: The Soviet intelligence officer’s handbook, gli obiettivi delle misure attive sovietiche erano primariamente “esercitare influenza sull’avversario” e secondariamente “indebolire le sue posizioni politiche, economiche, scientifiche, tecniche e militari.” Continua a esserci una grande continuità tra gli obiettivi e le tecniche della disinformazione e propaganda sovietica e russa post-sovietica. Il nuovo ambiente mediatico digitale offre modi senza precedenti per i nuovi strumenti di disinformazione e propaganda russi, inclusi Rt e Sputnik, di influenzare il pubblico straniero.

Un recente rapporto della Balkan free media initiative (Bfmi), organizzazione internazionale che analizza il mondo dei media nell’Europa dell’est, ha rivelato che aziende italiane e occidentali finanziano involontariamente piattaforme che diffondono disinformazione attraverso le loro pratiche pubblicitarie. Nei Balcani, crocevia secolare degli interessi strategici di oriente e occidente, marchi e brand europei e nordamericani, investono milioni di euro in pubblicità su media serbi che regolarmente dipingono l’Europa come un “gruppo apocalittico di crociati anti-russi” e sostengono che gli albanesi “sognano la pulizia etnica dei serbi”, aggravando l’instabilità regionale.

L’industria pubblicitaria globale sta raggiungendo volumi finanziari paragonabili ai giri d’affari del traffico di droga. Secondo la World federation of advertisers, nel 2025 il mercato pubblicitario si posizionerà al secondo posto dopo il traffico di droga. La pubblicità digitale a livello globale è stimata in seicento miliardi di dollari all’anno, mentre il mercato pubblicitario italiano, che include la pubblicità su Tv, stampa, media online e radio, ha superato i 9,4 miliardi di euro. Il tradizionale sistema di piazzamento pubblicitario è stato superato da un sistema complesso di algoritmi e intermediari che vendono le inserzioni. Spesso né gli inserzionisti né i media che pubblicizzano sanno cosa viene “venduto” con i loro marchi. Non molto tempo fa, alcuni marchi europei hanno interrotto i rapporti pubblicitari con alcuni media nei Balcani dopo aver scoperto di pubblicizzare titoli come “L’Ucraina ha provocato l’attacco della Russia” o che “la Cia ha ucciso Navalny”. Per molti brand, la pubblicità accanto alla propaganda e disinformazione rappresenta un grave problema reputazionale.

Tuttavia, importanti marchi internazionali, inclusi molti nomi noti italiani, trasferiscono oltre 1,2 miliardi di dollari all’anno a media che diffondono disinformazione, secondo Newsguard, un’organizzazione fondata da ex giornalisti per fornire strumenti trasparenti per contrastare la disinformazione a lettori, marchi e democrazie. Le pubblicità delle aziende occidentali non solo supportano finanziariamente queste piattaforme ma conferiscono anche legittimità alle informazioni inesatte che presentano. Eliminare questa fonte di reddito ridurrebbe rapidamente la diffusione e la credibilità della disinformazione dannosa.

I marchi globali devono unirsi alla lotta contro la disinformazione e assicurarsi di non finanziare involontariamente i canali attraverso cui si diffondono narrazioni dannose. Per raggiungere questo obiettivo, possono affinare le loro politiche pubblicitarie per avere visibilità su dove vengono pubblicati i loro annunci e escludere i media che promuovono narrazioni dannose e false. Un’azione collettiva di questo tipo avrebbe un impatto significativo sull’ecosistema della disinformazione e garantirebbe che le democrazie occidentali non contribuiscano alla propria destabilizzazione.

In qualità di ospite del 50esimo summit del G7, l’Italia sarà al centro della politica europea e globale a giugno. Questo rappresenta per la premier Giorgia Meloni un’opportunità per guidare la lotta contro la disinformazione. Quest’estate, Meloni potrebbe mobilitare il G7 per implementare misure globali che contrastino efficacemente la minaccia della disinformazione. Un passo incisivo in questa direzione comporterebbe il targeting del suo finanziamento, assicurando che le aziende non finanzino media che diffondono disinformazione attraverso la pubblicità. Questa questione è particolarmente rilevante per l’Italia, i cui marchi famosi nel mondo della moda e del cibo sono tra i maggiori acquirenti di spazi pubblicitari nei media globalmente.

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