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Cos’ha spinto l’Isis a colpire Mosca? L’analisi di Dambruoso e Conti

Di Stefano Dambruoso e Francesco Conti

Nell’ultimo periodo, i segnali di una possibile escalation da parte di IS-KP, culminante con un attacco su suolo russo, si erano fatti più forti. Quali rischi per l’Italia? L’analisi di Stefano Dambruoso, magistrato, e Francesco Conti, cultore della materia

L’attentato di venerdì 22 marzo alla sala concerti di Krasnogorsk, a due passi da Mosca, ha di fatto riportato il mondo al decennio scorso, caratterizzato dai complessi e sanguinosi attentati organizzati dallo Stato Islamico, sia dentro sia fuori l’Europa. Da diversi anni la minaccia è stata da quella dei lupi solitari “auto-organizzati”, molto raramente in grado di causare un numero elevato di vittime, ma non per questo sottovalutati dall’antiterrorismo Occidentale. Il massacro avvenuto in Russia, che ricorda da vicino quanto avvenuto al Bataclan nel 2015, non ha però sorpreso gli analisti, data la contrapposizione di Islamic State Khorasan Province (IS-KP), organizzazione autrice dell’attacco, con la Federazione Russa.

Perché IS-KP ha scelto la Russia?

L’IS-KP, la provincia dello Stato Islamico localizzata fra Afghanistan e Pakistan, ha nel suo mirino la Russia da diversi anni. Ciò per fattori sia esterni, legati alla politica estera russa, sia interni alle dinamiche afghane, dove esso rimane il gruppo terroristico più attivo fra le molteplici entità presenti in un Paese dove è presente anche al-Qaeda, in fase di riorganizzazione. Il gruppo terroristico fondato da Osama bin Laden sta, infatti, mantenendo un basso profilo, cercando di utilizzare i buoni rapporti con i Talebani per ricostituire la propria struttura nel Paese. I miliziani locali dello Stato Islamico invece, continuano con l’azione terroristica, colpendo anche obiettivi legati a potenze straniere e facendosi quindi punto di riferimento del jihadismo transnazionale nella regione. In questo contesto la Russia è uno degli obiettivi primari. Già dal settembre 2021, con il ritiro delle truppe internazionali dall’Afghanistan, il Pentagono aveva posto l’attenzione su possibili operazioni esterne da parte di IS-KP. Preoccupazione fatta propria dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella cornice della fragile situazione securitaria del Paese ora controllato dai talebani. Proprio il massimo organo della sicurezza internazionale delle Nazioni Unite aveva descritto a febbraio il gruppo come “la più pericolosa minaccia proveniente dall’Afghanistan”.

La politica estera del regime di Vladimir Putin ha più volte portato il Paese a scontrarsi contro lo Stato Islamico in contesti esterni a quello afghano. Basta ricordarsi la campagna militare russa in Siria, a sostegno del presidente Bashar al-Assad. In quel contesto di guerra, le forze armate russe sono intervenute con massicci bombardamenti, ma anche con truppe sul terreno, in funzione di supporto all’esercito siriano e alle varie milizie sciite coordinate dai pasdaran iraniani. Più di recente la Russia, con il famigerato gruppo Wagner, opera in diversi Paesi africani dove sono presenti milizie jihadiste, alcune facenti capo all’Islamic State Sahel Province (IS-SP). I vari colpi di Stato che hanno martoriato la regione negli scorsi anni e che hanno portato all’estromissione delle forze antiterrorismo occidentali (francesi su tutti), hanno di fatto portato alla contrapposizione diretta fra i jihadisti e gli interessi russi rappresentati dalla Wagner, interlocutore privilegiato per la sicurezza da parte dei leader golpisti.

Per quanto riguarda i fattori interni al contesto afghano, la Federazione Russa mantiene rapporti politico-diplomatici (di natura informale) con il regime talebano, il principale avversario di Islamic State Khorasan. Se, ab origine, tale legame aveva funzione anti Stati Uniti, l’ascesa di IS-KP ha cambiato il paradigma. Il Cremlino ha infatti subito preso atto della possibile minaccia alla sicurezza nazionale russa posta dall’organizzazione jihadista. Il pericolo principale è causato dal significativo numero di individui radicalizzati provenienti dalle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia Centrale fra le fila di IS-KP. La Russia, che da sempre vede tale regione come facente parte della sua sfera d’influenza, ha come obiettivo principale quello di evitare una destabilizzazione dell’area, che avrebbe riflessi anche a livello interno. L’influenza dei jihadisti dell’Asia Centrale all’interno del IS-KP ha avuto riflessi sulla propaganda online del gruppo, che ha puntato il dito più volte contro la Russia, elevata al rango di uno dei nemici principali. Tale propaganda ha poi a sua volta influenzato direttamente le operazioni sul terreno, con attentati a danno di interessi russi in Afghanistan.

Nel contesto di tali attentati, il Cremlino ha continuato a relazionarsi coni i talebani, sempre in ottica di contrasto a IS-KP. È infatti notizia di poche settimane fa che il regime talebano ha addirittura inviato un proprio rappresentante, in funzione di addetto militare, all’ambasciata afgana di Mosca, nonostante il governo del mullah Hibatullah Akhundzada non sia riconosciuto dalla diplomazia.

Nell’ultimo periodo, i segnali di una possibile fase di escalation da parte di IS-KP, culminante con un attacco su suolo russo, si erano fatti più forti. Il sette marzo, l’ambasciata statunitense a Mosca, a seguito di segnalazione della CIA, aveva fatto circolare un avviso di possibile imminente attentato. La comunicazione governativa americana, nell’esortare i propri cittadini a evitare luoghi di aggregazione, sottolineava proprio le sale da concerto come uno dei possibili obiettivi principali. A pochi giorni di distanza, invece, la sicurezza interna russa (FSB) era riuscita a neutralizzare una cellula del gruppo composta da due cittadini kazaki nell’Oblast di Kaluga, confinante con Mosca.

I nativi dell’Asia Centrale, non pochi fra le fila di IS-KP, non necessitano di visto lavorativo per risiedere in Russia. Ciò può rendere più agevoli i tentativi di infiltrazione da parte di terroristi degli “Stan ex-sovietici”, anche grazie a cellule di supporto logistico presenti in loco. Inoltre, gli individui già presenti in Russia, molto spesso discriminati a livello socioeconomico, devono ora fare i conti con le campagne di arruolamento del governo russo per la guerra in Ucraina, che in alcuni casi si sono spinti a minacciare l’espulsione in caso di diniego di prestare servizio. Tale fattore, che si unisce all’onnipresente propaganda jihadista online di Islamic State Khorasan, può essere in grado di contribuire al processo di radicalizzazione.  Jihadisti provenienti dall’Asia Centrale (i responsabili sarebbero cittadini tajiki) sono stati anche gli autori dell’attentato di venerdì scorso al Crocus City Hall.

I rischi per l’Italia e le risposte dell’apparato antiterrorismo

Alla notizia del compimento dell’attacco è immediatamente scattata la massima allerta del sempre pronto sistema antiterrorismo italiano. Il governo Meloni ha annunciato che saranno rafforzate le misure di sicurezza attorno agli obiettivi considerati più sensibili, come aeroporti, luoghi di culto (fra cui le sinagoghe, già oggetto di misure di protezione dal 7 ottobre scorso) e le sedi diplomatiche, fra tutte l’ambasciata della Federazione Russa. In questo caso, il ruolo centrale della risposta alla minaccia è dato dal Comitato analisi strategica antiterrorismo, in grado di coordinare in modo molto efficace il lavoro delle Forze di Polizia e delle agenzie di intelligence, in modo da avere un quadro della minaccia sempre condiviso, presupposto per agire in sinergia.

Per quanto riguarda proprio la minaccia, Islamic State Khorasan non sembrerebbe annoverare il nostro Paese fra i nemici principali. Infatti, a differenza di al-Qaeda o dell’organizzazione madre dello Stato Islamico in Medio Oriente, IS-KP si è fatta per ora portatrice di istanze regionali, nonostante condivida comunque, dal punto di vista ideologico, le strategie del jihadismo transnazionale. Preferisce infatti colpire, oltre che la Russia, interessi collegati ai Paesi dell’Asia Centrale o alla Cina, tutte nazioni confinanti all’Afghanistan o comunque con interessi politici in ballo nel Paese. Inoltre, il bacino di reclutamento di Islamic State Khorasan predilige nativi dell’Afghanistan o foreign fighter dell’Asia Centrale, comunità poco influenti in Italia.  I Paesi del Nord Europa, che hanno una più forte comunità di cittadini afgani, e quindi un bacino potenziale di radicalizzati più ampio, hanno dovuto fare i conti nei mesi scorsi con diversi piani criminali ricollegati a Islamic State Khorasan, tutti fortunatamente sventati. In Germania, a inizio marzo, l’antiterrorismo ha arrestato due cittadini afghani, legati a IS-KP, che volevano attaccare l’ambasciata della Svezia (Paese attenzionato dalla propaganda jihadista dopo i roghi del Corano della scorsa estate). Tra Germania e Paesi bassi, a fine 2023, è stato poi smantellata una cellula di IS-KP che stava pianificando un attentato alla Cattedrale di Colonia.

Ad aggravare la minaccia, sulla carta minore, nei confronti del nostro Paese svolge però un ruolo fondamentale il web, strumento in grado di annullare differenze geografiche o culturali. Subito dopo l’attacco, infatti, canali social affiliati allo Stato Islamico hanno celebrato, in diverse lingue, l’attentato in Russia. Internet è in grado di fungere da perfetta cassa di risonanza e dare il via a fenomeni emulativi da parte di individui radicalizzati, anche autonomamente. Questo porterebbe la minaccia a non essere direttamente collegata a Islamic State Khorasan, come visto da decenni con i lupi solitari che hanno colpito in nome di al-Qaeda e dello Stato Islamico. In questo caso è quindi fondamentale l’attività di monitoraggio sul web, altro punto evidenziato dall’esecutivo Meloni per contrastare la minaccia terroristica anche in prossimità delle festività pasquali, che vedranno i luoghi turistici più frequentati fra i sorvegliati speciali. Il rischio di attentati in Europa è quindi tornato altro: ma Putin continua a inveire contro l’Ucraina incolpandola dell’addestramento degli attentatori: un mondo sospeso tra pericolosi fatti quotidiani e una propaganda utile a pochi gestori della vita di milioni di persone. I giorni futuri non appaiono purtroppo forieri di messaggi di pace.



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