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Perché l’Italia al comando nel Mar Rosso è un passo decisivo. Le parole di Menia

La dichiarazione di voto del vicepresidente della commissione difesa del Senato e senatore di FdI: “Quando la storia corre, gli equilibri si ridisegnano, i popoli e gli Stati possono decidere di stare in seconda fila e seguire le partite scritte da altri, oppure si assumono le responsabilità anche accettando, come è ovvio, i rischi del caso. Questo è quello che noi facciamo con coscienza e con consapevolezza”

Qualche mese fa eravamo all’indomani dell’aggressione terroristica di Hamas e in quest’Aula ebbi modo di ricordare un libro, quello di Francis Fukuyama, che profetizzava la fine della storia immaginando che la storia si fosse fermata e finita, all’indomani della caduta del muro di Berlino. In quell’occasione in Aula dissi: guardate come la storia si sia tutt’altro che fermata e stia invece correndo e procedendo di corsa. Dicevo allora che l’aggressione russa dell’Ucraina era ormai datata due anni e aveva dato la stura a tanti conflitti: molti conflitti regionali stavano diventando globali, dissi che dovevamo prepararci a qualcos’altro e intravedevo quel che accadeva nel mar Rosso. Non è che io sia stato un profeta, bastava leggere quello che accadeva.

Oggi ci troviamo a votare una proposta di risoluzione che autorizzerà altre tre missioni. Sono missioni in connessione, per l’appunto, con quello che è accaduto: una si riferisce – ed è la più semplice in qualche modo – al nostro impegno a far partecipare personale della magistratura italiana alla missione civile dell’Unione europea in Ucraina, questo con lo scopo di sostenere l’Ucraina nel suo impegno a favore della riforma del settore della sicurezza. L’altra, invece, si riferisce ad un impegno ancor maggiore di quello che già siamo stati capaci di dare e l’Italia, devo dire, è stata battistrada in questo; noi inviammo subito – qualcuno se n’è dimenticato – la nave Vulcano, una nave ospedale al largo di Gaza anche per prevenire il disastro umanitario. È l’operazione che noi andiamo ora a sostenere, cioè quella che vuole creare una de-escalation rispetto alla situazione di Gaza. È quindi una missione che impone un approccio integrato per evitare l’estensione del conflitto su scala regionale ed impone anche e soprattutto la protezione delle popolazioni civili, l’erogazione di aiuti umanitari, l’aviolancio di beni, tutte cose che sappiamo nobilmente fare.

La terza, quella che politicamente è non la più importante, ma sicuramente la più controversa in questo momento e anche quella più impegnativa e pericolosa, perché le cose vanno dette, è la missione Aspides. Paradossalmente (lasciatemi disegnare questa immagine), pare che la storia ritorni indietro a cinque secoli fa, cioè a quattro anni prima della scoperta dell’America. Oggi, leggendo certe cronache che arrivano dagli Stati Uniti, secondo la cultura woke noi dovremmo chiedere scusa e abbattere le statue di Cristoforo Colombo. Bene, quattro anni prima della scoperta dell’America, nel 1488, un esploratore portoghese, che si chiamava Bartolomeu Dias, andò a girare intorno al Capo di Buona Speranza e scoprì che si potevano così connettere via mare due Continenti che si pensava potessero connettersi invece solo via terra.

Cioè navigò attorno al Capo di Buona Speranza e la sua scoperta, di fatto, aprì la strada al trasporto marittimo globale, cioè permise alle navi di viaggiare tra l’Asia e l’Europa. Certo, il viaggio era lungo, ma aggirare il Capo di Buona Speranza consentiva di spostarsi via mare in due continenti. Passarono poi quasi quattro secoli e la realizzazione del Canale di Suez, nel 1869, svuotò d’improvviso l’importanza capitale del Capo di Buona Speranza; quel canale, infatti, collegando direttamente il Mar Rosso al Mediterraneo, ha ridotto drasticamente i tempi di viaggio delle navi.

Lasciatemi ora parlare da senatore di Trieste. Ricordo che il barone Revoltella, che ha lasciato una magnifica collezione d’arte, tra l’altro, vice presidente del Canale di Suez, diceva ai triestini di allora, con fascino visionario: vedrete cosa riuscirà a realizzare il Canale di Suez. Aveva visto bene. C’è un quadro bellissimo al Museo Revoltella del pittore triestino Alberto Rieger che illustra a viaggio d’uccello i più di cento chilometri del Canale di Suez: si vedono le piramidi, Il Cairo sulla sinistra e il lungo canale che connetterà l’Oceano Indiano al Mediterraneo.

Noi, che siamo la piattaforma avanzata sul Mediterraneo, non possiamo che temere drammaticamente quello che accade da quando gli Houthi hanno scoperto che interrompere quella via significa ottenere una straordinaria influenza globale, attaccando le navi sul mar Rosso. Ci riguarda evidentemente in modo drammatico. Pensate che lo stretto tra Gibuti e lo Yemen si chiama Bab el-Mandeb, che vuol dire «porta del pianto funebre», quindi non potrebbe avere un nome più indicativo. Chiudendo quella porta, infatti, si interrompe una rotta critica e fondamentale per il trasporto del petrolio, delle materie prime, dei semilavorati, delle merci. L’Italia dipende dal Canale di Suez per il 40 per cento del suo import-export; il nostro import-export vale circa 150 miliardi di euro e si prospettano conseguenze disastrose sul made in Italy. Coldiretti, per esempio, ha calcolato che siano a rischio 6 miliardi di euro delle nostre esportazioni solo sulla filiera agroalimentare.

Gli effetti sull’economia sono globali. Molti armatori hanno deciso di circumnavigare l’Africa, come più di centocinquant’anni fa, doppiando il Capo di Buona Speranza. Ora il viaggio dura 21 giorni invece di 7 e, riguardo ai costi, per esempio un container con partenza in Asia e arrivo a Genova o a Trieste valeva 1.800 dollari, mentre oggi costa 6.000 dollari, quindi il costo è triplicato se non quadruplicato. Nel frattempo si sono create nuove compagnie di navigazione (non lo sa quasi nessuno): sono tutte di origine cinese e servono a passare il Canale di Suez con operazioni di trasbordo, perché, come sapete, gli Houthi fanno una pirateria selettiva, fanno passare cioè soltanto le navi che ritengono di correligionari o comunque di non oppositori al loro piano e al loro progetto di resistenza.

Gli Houthi sono un’organizzazione armata, non dei simpatici piratini come quelli che si disegnano nei cartoni animati, ma molto più pericolosi, per esempio, di Hamas. Pochi sanno quale sia la loro capacità bellica: sono muniti di missili, di razzi e missili antinave, mezzi robotizzati underwater (guardate la questione dei collegamenti sottomarini per la trasmissione dei dati); hanno i barchini minati e l’episodio della nave Caio Duilio di qualche giorno fa lo sta a dimostrare.

Di fronte a tutto ciò, è del tutto evidente che l’interesse nazionale italiano si misura e si tutela con un intervento diretto italiano ed europeo. Il fascino – perché si può parlare anche in questi termini – di questo intervento sta proprio anche nel fatto che è una missione europea in cui l’Italia ha un ruolo di primo piano. La missione Aspides servirà a coprire, a sostenere, a garantire rotte marittime per noi fondamentali. Se la base è insediata a Larissa in Grecia, il comando è affidato all’Italia e in particolare è giusto salutare il commander-in-chief, il nostro contrammiraglio Stefano Costantino, perché l’Italia guiderà questa missione con il ruolo di force commander.

È un passo significativo per noi, per il ruolo dell’Italia, per la sicurezza delle rotte marittime globali e dunque per la sicurezza collettiva. Va sottolineato – lo ripeto ancora una volta – come Aspides veda l’Europa dare per la prima volta una risposta comune. Aspides sarà anche un banco di prova per il G7 a guida italiana, che già se ne è occupato nelle scorse riunioni e per il futuro certamente i meeting del G7 mireranno a consolidare sempre di più la sorveglianza navale per il benessere di tutti.

In conclusione, quando la storia corre, gli equilibri si ridisegnano, i popoli e gli Stati possono decidere di stare in seconda fila e seguire le partite scritte da altri, oppure si assumono le responsabilità anche accettando, come è ovvio, i rischi del caso. Questo è quello che noi facciamo con coscienza e con consapevolezza, con il voto favorevole alla risoluzione che impegna l’Italia in questa missione. L’altro ieri – lo dicevo – nave Caio Duilio ha abbattuto un drone armato degli Houthi in rapido avvicinamento, è il primo abbattimento di una minaccia aerea su una nave della Marina militare dalla Seconda guerra mondiale. Il teatro, in tutta evidenza, è un teatro difficile.

Va quindi un ringraziamento, prima di tutto, agli uomini e alle donne d’Italia che oggi incrociano in quelle acque, in una missione che è difficile e pericolosa, ma vuole segnare il ruolo dell’Italia nel mondo, non in coda agli altri, ma davanti agli altri, per ristabilire le regole del diritto, della libertà, della civiltà, delle relazioni internazionali. Con il nostro grazie, se lo permettete, va anche il nostro pensiero al cielo con le parole sublimi della «Preghiera del marinaio» scritta da Antonio Fogazzaro, perché siano benedette le loro case lontane, le care genti e quelli che per tutti noi nella cadente notte vegliano in armi sul mare.


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