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IA e disoccupazione tecnologica. Tre aspetti fondamentali analizzati dal Ced

Di Rosario Cerra, Francesco Crespi, Dario Guarascio

Secondo le più recenti stime del Fondo Monetario Internazionale, circa il 40% dell’occupazione globale è esposta all’IA, ovvero potrebbe subire impatti. Questa percentuale nei Paesi avanzati arriva a circa il 60% dei lavori. Sono numeri che evidentemente generano un certo allarme. L’analisi di Rosario Cerra, Francesco Crespi, Dario Guarascio del Centro Economia Digitale

Lo spauracchio della disoccupazione tecnologica determinata dalla diffusione dell’Intelligenza Artificiale (IA) aleggia vorticosamente sulle nostre teste. La realtà è che, a oggi, nessuno sa cosa effettivamente accadrà, e che quello di cui abbiamo bisogno è sviluppare un dibattito scientifico e di policy in grado di analizzare il tema in tutta la sua reale complessità.

La sfida che l’IA ci pone va affrontata con riferimento a tre aspetti fondamentali. La generazione di innovazioni legate all’IA, l’utilizzo/diffusione delle tecnologie di IA nei diversi settori dell’economia inclusa la pubblica amministrazione e, infine, gli impatti economici, sociali e ambientali prodotti. Riguardo a questi ultimi, è importante riconoscere che saranno differenziati. Da un lato, dipenderanno da chi possiede le capacità tecnologiche di sviluppare modelli e strumenti di IA e le innovazioni a essi connessi, dall’altro, da quanto e, soprattutto, da come queste tecnologie saranno utilizzate da imprese, cittadini e settore pubblico.

Per quanto riguarda gli effetti dell’IA sull’occupazione, secondo le più recenti stime del Fondo Monetario Internazionale, circa il 40% dell’occupazione globale è esposta all’IA, ovvero potrebbe subire impatti. Questa percentuale nei Paesi avanzati arriva a circa il 60% dei lavori. Sono numeri che evidentemente generano un certo allarme. La peculiarità dell’IA rispetto alle altre tecnologie è infatti proprio quella di svolgere attività che sono distintive dell’uomo, come la capacità creativa e di prendere decisioni, e questo fa spesso dire che: “Questa volta è diverso”.

A differenza delle ondate tecnologiche precedenti, l’esposizione all’IA riguarda anche i lavoratori altamente qualificati, soprattutto nel settore dei servizi, come matematici, professionisti finanziari, legali, amministrativi, docenti universitari e sviluppatori software. Ma che cosa significa che i lavoratori sono “esposti” all’IA? Significa semplicemente che esiste una sovrapposizione tra le mansioni che svolgono i lavoratori e quelle che l’IA è in grado di svolgere.

Tuttavia, una maggiore esposizione all’IA non implica necessariamente un più ampio rischio di sostituzione. L’IA invece che sostituire può complementare o aumentare la capacità dei lavoratori di effettuare le proprie attività. Di fatto, ancora non sappiamo se gli effetti di complementarietà prevarranno su quelli di sostituzione. Al momento la letteratura scientifica ci dice che i territori in cui il grado di esposizione deli lavoratori all’IA è maggiore sono quelli che registrano i maggiori tassi di crescita dell’occupazione.

D’altra parte, ancora non sappiamo se la combinazione dell’IA con l’automazione avrà un impatto severo sull’occupazione, o se, al contrario, gli aumenti di produttività e la crescita economica derivanti dall’IA saranno in grado di compensare o, addirittura, più che compensare gli effetti di sostituzione. Siamo però certi che gli investimenti in ricerca, innovazione e capitale umano, stimolati da opportune politiche industriali e della formazione, saranno fondamentali per garantire la resilienza del sistema nei diversi scenari immaginabili.

In particolare, le competenze svolgono un ruolo fondamentale in vari aspetti legati all’Intelligenza Artificiale. Sono cruciali per stabilire quando un certo tipo di attività potrà essere sviluppato e realizzato dall’IA. Servono a valutare la qualità dell’output generato dall’Intelligenza Artificiale e come questo risultato può essere utilizzato. Consentono di utilizzare l’IA per aumentare le capacità umane all’interno dei processi produttivi sia nell’ambito della manifattura sia nell’ambito dei servizi.

È da queste – poche – certezze che occorre partire per sviluppare un dibattito serio e senza pregiudizi. D’altra parte, anche per l’IA vale la Prima legge di Kranzberg (1986) che ci dice che “la tecnologia non è né buona né cattiva, e nemmeno è neutrale”. Si riconosce così l’influenza dell’uomo sulle tecnologie e che le conseguenze dell’introduzione di una nuova tecnologia dipendono dal contesto sociale, istituzionale e storico in cui tutto questo si realizza. Ed è su questo che occorre ragionare per agire di conseguenza.


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