Nonostante ormai sia chiaro che ogni elezione è a sé stante, la prova delle urne abruzzesi avrà un diverso significato per le due coalizioni, di centrodestra e centrosinistra. Ecco quali secondo Pino Pisicchio
Se usassimo le disusate chiavi di lettura ideologiche diremmo che in Abruzzo si sta celebrando, in formato bonsai, la prova del fuoco tra destra e resto del mondo, perchè a sostegno dello sfidante D’Amico che contrasta la rielezione del fratello d’Italia Marsilio, c’è tutta l’opposizione e non solo la sinistra/sinistra vincente per un’incollatura in Sardegna. Ideologicamente, dunque, avremmo una destra omogenea e una coalizione sfidante disomogenea. Ma sappiamo che quelle chiavi sono ormai desuete e che in questo tempo nuovo non accadrà più che un presidente del Consiglio rassegni le dimissioni perché la sua coalizione ha perso qualche giro elettorale nelle amministrative, come usava una volta. Allora perché la mediatizzazione di questo voto inclina al parossismo dell’ultima thule per l’una e l’altra coalizione in campo?
Premesso che ormai ogni passaggio elettorale va considerato un evento a sé, che vale anche meno di un sondaggio elettorale perché un buon sondaggio poggia su una campionatura attendibile mentre al voto va solo una metà di elettori (non campionati) o poco più, ad andar bene, diremmo che anche un voto locale al giorno d’oggi qualche effetto lo può provocare, almeno nell’area della psicologia politica. Che non è una disciplina trascurabile. Cominciando con la coalizione di centrodestra, diremmo che, dopo l’autoflagellazione un pò naive delle forze di governo sul voto sardo – perché quando si perde soltanto per qualche centinaio di voti in un contesto molto identitario è giusto prendersela con sé stessi ma è stupido enfatizzare al punto da ritenere che quel risultato rappresenti la fatale inversione di marcia sul piano nazionale – il voto abruzzese, se vittorioso, rappresenterebbe la prova che il centrodestra ha avuto un lieve inciampo sulla marcia ancora sicura in assenza di una identità plausibile dell’opposizione. Viceversa, se dovesse vincere il prof. D’Amico la lettura che se ne farebbe sarebbe quella di una sconfitta che segna un declino della destra di governo e, in particolare della presidente Meloni, che infilerebbe due smacchi nel giro di qualche settimana, con candidati fratellitalioti da lei fortemente voluti e sostenuti. Il quale fatto la renderebbe meno forte nel rapporto con i competitors interni. Beninteso: nessun pericolo per il governo, ma sicuramente sarebbe intaccata l’autorevolezza della Presidente rispetto ai suoi sodali.
Nel versante dell’opposizione la situazione è speculare ma non troppo diversa. Anche qui, in caso di vittoria, la predominanza del Pd di Elly Schlein sarebbe consolidata dentro e fuori il suo partito e probabilmente si comincerebbe a parlare della stabilizzazione di un nucleo di alleati con i 5 Stelle di Conte e a intravedere un’orizzonte ciellenistico con il contributo dei centristi di Calenda e Italia Viva, risultati superflui nel voto sardo ma recuperati nel valore simbolico ed elettorale nel voto abruzzese. Viceversa, in caso di sconfitta si tratterebbe di un riallineamento nella normalità dell’ultimo biennio, caratterizzata da una debolissima opposizione attraversata dai basic istinct di leader alla ricerca di protagonismi personali.
Insomma, se per la destra la sconfitta avrebbe il valore dei due indizi che cominciano a delineare una prova a carico, per la sinistra-centro la vittoria del fratellitaliota Marsilio lascerebbe le cose come stavano prima del voto sardo. Con i neocoalizzati assai somiglianti a quella figura del presepe che si chiama “pastore della meraviglia”, il pupo del presepio che guarda con occhi stupefatti l’evento straordinario davanti ai suoi occhi.