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Putin pronto ad attaccare la Nato? Per il gen Tricarico, occorre guardare ai fatti

Emergono continuamente preoccupazioni, basate su supposizioni e paure anziché prove concrete, sull’ipotesi di un attacco di Putin a un Paese Nato. Invece c’è l’urgente necessità di un approccio razionale e condiviso per valutare le reali minacce e adottare misure adeguate in quadranti la cui destabilizzazione può rappresentare davvero un pericolo per lo spazio europeo, a partire dal fianco sud. L’opinione del generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e presidente della Fondazione Icsa

Sta dilagando e mettendo radici in maniera preoccupante l’assunto in base al quale Putin, prima o poi, attaccherà un Paese della Nato. Naturalmente non vengono prodotte prove o argomentazioni a sostegno di tale nefasta previsione se non – su sollecitazione – talune affermazioni, estrapolate da interventi pubblici di Putin anche datati, dai quali trasparirebbe in maniera inequivocabile il suo piglio imperialista troppo a lungo represso e la sua incontenibile pulsione a ridisegnare un personale impero.

Questa vera e propria deriva del pensiero va fermata, non si può assistere inattivi al montare quotidiano e da prima pagina, di ipotesi non supportate da alcun concreto approfondimento tecnico, fattuale, destinate purtroppo a non restare a livello di pura supposizione.

L’escalation – o meglio, la stima alquanto gonfiata delle capacità e delle intenzioni di Putin – si sta dipanando da anni ormai, a partire dalla insensibilità della Nato a volgere lo sguardo anche a sud, puntando il dito insistentemente a est, fino a subire una accelerazione inarrestabile con l’invasione dell’Ucraina, assistita dagli allarmi montanti e quotidiani dei Paesi membri del fianco nord.

Le voci comprensibilmente preoccupate di tali Paesi, già appartenuti al Patto di Varsavia, sono divenute la narrazione perdurante del pericolo russo, senza che alcuno ne mitighi le irrazionalità proprie della paura, anzi validandole in qualche maniera con l’invio nell’area, senza soluzione di continuità, di contingenti militari atti a irrobustire la difesa di quei confini.

Ma possibile che neppure una sola volta un singolo Paese membro abbia avvertito la necessità di invocare l’articolo 4 del Trattato ed avviare un serio, vero confronto sulla realtà e l’immanenza del pericolo russo? Mettendo le carte in tavola e valutando con pragmatismo e freddezza le reali capacità militari, non certo le intenzioni del dittatore russo, da lasciare queste ultime a stime più raffinate, limitando possibilmente l’imperscrutabilità a un grado più contenuto.

Non vi è dubbio che l’impegno di oggi, anche abbastanza pressante, debba essere quello di ipotizzare un possibile punto di caduta della visione degenerata degli equilibri dell’area, e c’è da scommettere che prima o poi dalle parole si passerà ai fatti; che dalla paura si passerà a concepire la sua esorcizzazione, mediante provvedimenti di significativa portata per l’Alleanza atti a far dormire sonni più tranquilli a chi non tralascia occasione per lanciare allarmi.

Potrebbe addirittura prefigurarsi una fase in cui gli Stati Uniti si avvarranno in maniera più assertiva ed esplicita della loro posizione dominante, optando per un irrobustimento permanente delle strutture dell’Alleanza nell’area, una diversa dislocazione delle forze e degli organi per la loro gestione, cui associare le consuete esercitazioni, volte anche ad amalgamare nel sistema le new entries di Svezia e Finlandia.

Personalmente invece ritengo che le capacità militari di Putin non rappresentino minaccia per alcuna alleanza di scopo – del nord tanto per intenderci – e tantomeno per la Nato, almeno nei prossimi decenni.

I russi non sanno fare la guerra e lo abbiamo visto, i loro arsenali si sono depauperati e lo si ricava da alcuni segnali inequivocabili, contano sul terrore che le bombe creano più che sul loro effetto ai fini militari, hanno raggiunto livelli tecnologici apprezzabili ma sono la punta di poche lance, non di un iceberg, ed anche raddoppiando il loro impegno in risorse militari come hanno fatto, rimarranno nel complesso una frazione contenuta delle capacità occidentali.

Cosa fare allora? Innanzitutto le valutazioni fatte fin qui a colpi d’ascia dovranno essere oggetto di un approfondimento esaustivo e possibilmente condiviso con Paesi che come noi riescano a mantenere un minimo di freddezza. Compito questo che deve essere preso in mano dal combinato Esteri-Difesa-Servizi in modo che, in tempi solleciti, si possa mettere a punto una visione nazionale solida e condivisa.

Se (ancora una volta usando l’ascia) dovesse a seguito dell’analisi, emergere che i buoi a nord sono già scappati e che a nulla serve, se non a placare le paure, costruire un recinto più robusto, allora è giunto il momento di sparigliare un gioco in cui – da sempre – uno detta la linea e gli altri si adeguano.

Usiamo finalmente, e a ragion veduta, il potere di veto che le norme ci concedono cercando di individuare ed indicare il vero centro di gravità dei nuovi equilibri, scoprendo così, in un confronto dialettico più generale, che altri sono i recinti che occorrerà disegnare a contenimento dell’espansionismo russo – questa volta, sì, concreto – laddove si pensi ad esempio alla concretezza che esso sta assumendo dove finora è stata sufficiente la sola contenuta capacità militare della Wagner a mettere seriamente a rischio i nostri interessi e quelli dell’Europa intera.

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