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Hong Kong è sempre meno libera. Perché chiude Radio Free Asia

L’agenzia stampa asiatica, finanziata dagli Usa, ha annunciato la chiusura della sede di Hong Kong in seguito alle ultime restrizioni di Pechino, che avevano reso l’isola un posto “insicuro”

L’ordinanza sulla salvaguardia della sicurezza nazionale promulgata dal governo cinese, altresì nota come Articolo 23 della Legge fondamentale, sta cominciando ad avere effetto. L’agenzia di stampa Radio Free Asia, che riceveva finanziamenti dal Congresso degli Stati Uniti, ha chiuso il suo ufficio di corrispondenza a Hong Kong a seguito dell’entrata in vigore della legge in questione. A renderlo pubblico è stato lo stesso presidente e direttore esecutivo Bay Fang, specificanco come le nuove disposizioni “mettano in serio dubbio la nostra possibilità di operare in sicurezza”. Una parte dei dipendenti dell’agenzia di stampa sono stati licenziati, mentre altri sono stati trasferiti da Hong Kong a sedi estere come quella di Taiwan, quella degli Stati Uniti o altre ancora. Nel comunicato rilasciato da Fang si ricorda come l’agenzia, già accusata dalla Cina di fare gli interessi del governo statunitense, sia stata recentemente definita da alcuni funzionari dell’ex colonia britannica passata alla fine degli anni ’90 sotto il controllo di Pechino come “una forza esterna”.

L’Articolo 23 della Legge fondamentale è entrato ufficialmente in vigore a Hong Kong lo scorso 22 marzo dopo la firma del capo dell’amministrazione John Lee, tre giorni dopo la sua approvazione in terza lettura con ottantanove voti a favore e zero contrari da parte del Consiglio legislativo. Esso aggiorna vecchie disposizioni (o ne introduce di nuove) che vietano i reati di tradimento, sabotaggio, sedizione, furto dei segreti di Stato e spionaggio; inoltre, rafforza il controllo sugli organismi politici stranieri e sulle organizzazioni attive nell’isola di Hong Kong, attraverso disposizioni che colpiscono le “forze esterne” e mettono al bando le “ingerenze straniere”.

Questo provvedimento rappresenta soltanto l’ultimo passo all’interno della più generale stretta sponsorizzata dal governo di Pechino nei confronti del sistema autonomo dell’isola, la quale si è dimostrata alquanto restia a conformarsi al resto della Repubblica Popolare dopo aver goduto del suo status “privilegiato”. Anche se le proteste di piazza di qualche anno fa non sono più all’ordine del giorno, la situazione interna non è cambiata.

Il destino di Hong Kong continua a rimanere al centro dell’attenzione, soprattutto da parte di colore che sono, volenti o nolenti, più legati alla Repubblica Popolare Cinese. Come ad esempio l’isola di Taiwan, che il segretario del partito comunista cinese Xi Jinping ha più e più volte dichiarato di voler riportare sotto la sovranità di Pechino. Qualora la Repubblica Popolare riuscisse ad estendere il suo controllo sull’isola, non è difficile credere che la sua sorta non sarà molto differente da quello della Perla d’Oriente.

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