Esiste una linea retta fra la visione geopolitica dell’attuale Pontefice e il pensiero del fondatore del popolarismo, quel don Luigi Sturzo che è stato imprescindibile per gli statisti citati: una linea che va riportata in Europa, a partire dal Partito Popolare Europeo e dalle sue collegate realtà politico-culturali, per lavorare davvero ad un suo ruolo pregnante nell’ambito di un riallineamento dell’asse tra democrazia e cristianesimo
In un post del direttore delle comunicazioni vaticane, Andrea Tornielli, in occasione dell’undicesimo anniversario del pontificato di Papa Francesco viene fatto un chiaro e puntuale paragone tra quest’ultimo e le dure critiche che nel 1917 Papa Benedetto XV, già sostituto di un importante segretario di Stato, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, subì per aver parlato di “inutile strage” affermando, nel tentativo di rilanciare i negoziati verso la pace, tra l’altro: “Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale, all’abisso, incontro a un vero e proprio suicidio?”
È evidente che, anche nella visione geopolitica pontificia, non si possa prescindere da una chiara “emeneutica della continuità” per comprendere il muoversi della Chiesa nella storia comprendendo i segni dei tempi senza conformarsi ad essi da vera esperta di umanità: senza questa continuità diventa difficile capire quanto la fede cristiana sia uno scandalo per l’uomo di ogni tempo (cit. Joseph Ratzinger) che ha determinato un prima (pagano) ed un dopo (che in molti vorrebbero abbandonare per un salto all’indietro proprio partendo dalla considerazione della vita e della natura stessa umana e familiare).
Senza entrare nelle polemiche del mainstream che esalta, reinterpreta e colpisce con stile “sovietico”chi non si adegua, sulla base delle sue categorie ideologiche, assai perniciose, relative all’ultima intervista del Santo Padre alla Readiotelevisione svizzera in cui ha parlato della necessità di negoziati, basti ricordare quanto ribadito dal cardinal Segretario di Stato, Pietro Parolin sull’Osservatore Romano, che aiuta anche a comprendere la cattolicità dello sguardo, che non è mondialismo piallante:
“Il Santo Padre spiega che negoziare non è debolezza ma è forza. Non è resa, ma è coraggio. E ci dice che dobbiamo avere una maggiore considerazione per la vita umana, per le centinaia di migliaia di vite che sono state sacrificate in questa guerra nel cuore dell’Europa. Sono parole che valgono per l’Ucraina come per la Terra Santa e per gli altri conflitti che insanguinano il mondo”. Sarebbe poi semplice argomentare anche da un punto di vista più preciso la questione “sul campo” attraverso interventi di grande spessore apparsi in questi giorni, come quelli di Domenico Quirico o di Lucio Caracciolo che hanno preso spunto dalle parole di Papa Francesco.
Appare, però, interessante fare due notazioni: la prima prende riferimento dal Vangelo della domenica del “laetare” di questa Quaresima in cui c’è la figura di Nicodemo, che si muove ancora nel buio delle tenebre per andare da Gesù: sembra ben interpretare i cattolici, singoli e associati, ormai assai timorosi nel dare un giudizio e prendere una posizioni coerente e fedele alla Chiesa complessivamente (significa superando la frattura fra sociale e morale del tutto ideologica), sempre “coperti”, insomma “spartiti” tra sudditanze e il pre-politico come alibi pur con roboanti intellettualismi.
Manca chiaramente il frangiflutti, che è anche una prima linea, coerente e coraggiosa, di laici capaci di ricostruirla come casa, come difesa, come presenza politica a tutto tondo in una civiltà ancora fodamentalmente cristiana, messa a terra di una colleganza, pur nell’autonomia, con la diplomazia vaticana, prendendo esempio dai grandi interpreti democristiani della politica internazionale, De Gasperi, Fanfani, Moro, Colombo, Andreotti.
La seconda notazione porta a evidenziare una linea retta fra la visione geopolitica dell’attuale Pontefice e il pensiero del fondatore del popolarismo, quel don Luigi Sturzo che è stato imprescindibile per gli statisti citati: una linea che va riportata in Europa, a partire dal Partito Popolare Europeo e dalle sue collegate realtà politico-culturali, per lavorare davvero ad un suo ruolo pregnante nell’ambito di un riallineamento dell’asse tra democrazia e cristianesimo e di un multilateralismo che ha anche bisogno di ripensare gli organismi internazionali e gli stessi accordi segreti scaturiti all’indomani della seconda guerra mondiale ed ancora oggi vigenti, in particolare per i paesi allora sconfitti, per non rimanere imbalsamati in un’epoca precedente e in via di transito.
Per comprendere basti riprendere le parole di adesione al quinto Congresso Internazionale per la Pace che Sturzo usò nell’articolo apparso su La Stampa il 16 settembre 1925.
“Non si può dare pace all’Europa se non col trionfo della vera democrazia – così Sturzo – sopra tutti gli egoismi nazionalisti, e che non può trionfare stabilmente la democrazia se non si riconcilia col cristianesimo. Quel che sembra allontanare la democrazia dal cristianesimo è il pregiudizio che la chiesa sia alleata dei potenti e ne sostenga gli interessi, per averne essa stessa favori e tranquillità: ed è anche il principio fallace che ogni bene si esaurisca sulla terra e che ogni ideale si spezzi con la morte. Noi proclamiamo alto che la missione divina della chiesa non può essere ridotta a funzionare da strumento di regni, né essere diretta ad alimentare le cruente divisioni dei popoli, ed insieme noi combattiamo contro ogni materialismo politico che si affermi sia in nome della nazione che in nome del lavoratore. Se accetterà tali premesse allora solo la democrazia cristiana acquisterà un valore morale più forte di ogni valore politico e la pace potrà essere assicurata ala nostra travagliata Europa. A questa pace senza compromessi di armamento, senza sfruttamenti di popoli vinti, senza odii alimentati per la futura riscossa, io inneggio da lontano mentre voi in congresso riaffermate ancora una volta la salutare rinascenza della democrazia cristiana”.
Nell’undicesimo anno di pontificato il Papa non demorde, ma i popolari riusciremo a ritrovarli strada facendo? Urge!