Forse, dopo la sbornia populista grillina e leghista, si intravedono all’orizzonte i segnali di una lenta, ma inarrestabile, ripartenza della politica e dei suoi istituti principali. A cominciare, appunto, da una nuova centralità della politica estera
La politica estera è sempre stata la dorsale decisiva per qualificare un partito e, soprattutto, una coalizione. Non è credibile e tantomeno seria una alleanza che sulla politica estera oscilla o balbetta. Al riguardo non mancano esempi contemporanei, persino troppo semplici da ricordare.
Com’è pensabile stringere alleanze con un partito populista come quello dei 5 Stelle che proprio sulla politica estera non hanno una strategia precisa e coerente se non quella di cavalcare gli umori del momento? E lo stesso criterio vale per l’altro partito populista, quello della Lega salviniana che su questo versante pende pericolosamente. In effetti, quando la vita pubblica italiana non era ancora stata infestata dal populismo demagogico, qualunquista e anti politico, la politica estera era il crocevia decisivo e discriminante per la costruzione delle alleanze da un lato e per la stessa definizione del profilo politico dei partiti dall’altro. E proprio attorno alla politica estera, principalmente, si costruivano i governi e gli assetti politici. Erano altri tempi? Certamente sì, ma in ogni fase storica l’orientamento politico di un partito sulla politica estera non è mai stato una variabile indipendente ai fini del suo progetto e del sistema di alleanze che voleva costruire per concorrere al governo del Paese.
Per questi motivi non stupisce che anche oggi sia proprio e ancora la politica estera ad essere un fattore decisivo per misurare la credibilità di una ricetta politica e, soprattutto, l’affidabilità democratica di un paese come il nostro. E, non a caso e con intelligenza politica e strategica, la premier Giorgia Meloni ha fortemente caratterizzato l’avvio del suo governo su questo versante dando l’impressione, e non solo l’impressione, di ancorare il nostro Paese ad un quadro di alleanze chiare, nette e coerenti. Senza balbettamenti, reticenze ed ambiguità. Dopodiché, le singole scelte di politica interna saranno discutibili, e certamente opinabili, ma sulla collocazione del nostro Paese nello scacchiere europeo e mondiale e, soprattutto, sulle concrete prese di posizione, l’Italia in questi ultimi mesi ha centrato gli obiettivi principali. Altroché il populismo giallo/verde.
Perché attorno alla chiarezza sulla collocazione del nostro Paese sul versante europeo e mondiale si gioca la nostra stessa credibilità come sistema politico. Solo partiti dilettanti o animati da un inguaribile pressappochismo e superficialità possono continuare ad essere ondivaghi attorno alle grandi scelte che una attenta, coerente ed intelligente politica estera richiede. Ecco perchè il recupero di credibilità e di autorevolezza della politica, dei partiti e dei rispettivi progetti di governo passa anche, e soprattutto, attraverso la chiarezza sulle grandi scelte in politica estera.
Non a caso, come ricordano tutti coloro che hanno ancora frequentato i grandi partiti popolari e di massa del passato, ogni riflessione locale e nazionale di un qualsiasi direttivo di partito partiva sempre da una ricognizione sul contesto europeo ed internazionale. E questo per la semplice ragione che quando ci sono incertezza ed ambiguità su questo fronte difficilmente si riesce poi a perseguire un progetto politico e di governo credibili anche sul versante nazionale. E, forse, dopo la sbornia populista grillina e leghista, si intravedono all’orizzonte i segnali di una lenta, ma inarrestabile, ripartenza della politica e dei suoi istituti principali. A cominciare, appunto, da una nuova centralità della politica estera.