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Perché il Canada sta pensando di farsi un’agenzia stile Cia

Il caso dei “due Michael” e gli attacchi alla comunità sikh lo confermano. Ottawa ha bisogno di humint sotto copertura. La commissione sulle interferenze straniere è al lavoro

Il caso dei “due Michael” canadesi – Michael Spavor e Michael Kovrig – detenuti per oltre mille giorni dalle autorità cinesi con l’accusa di spionaggio e liberati pochi giorni dopo la fine dei domiciliari in Canada per Meng Wanzhou, top manager di Huawei (colosso cinese fondato dal padre Ren Zhengfei) – fu sostanzialmente uno “scambio di prigionieri” – lo dimostra, così come la caccia delle autorità indiane alla diaspora sikh in Canada: “L’approccio incoerente del Canada verso le attività di human intelligence sotto copertura non è adatto allo scopo ed è sottosviluppato rispetto agli Stati Uniti o alle potenze europee” e ciò rende “urgente una radicale rivalutazione e riorganizzazione” alla luce del nuovo contesto internazionale segnato da sfide statuali – come quelle poste dalla Can – e nuove (ma neanche più tanto) minacce – come quelle ibride.

A scriverlo un mese fa sulla rivista Foreign Policy sono stati i professori David V. Gioe e Thomas Maguire, del King’s College London, e Alan R. Jones, Daniel Stanton e Alan Treddenick, tre ex funzionari del Canadian Security Intelligence Service.

Il Canadian Security Intelligence Service, agenzia creata nel 1984, ha un ruolo cruciale nella rete Five Eyes che unisce anche i servizi collegati di Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito e Stati Uniti. Ma si limita alla sicurezza interna. Dunque, non può essere paragonata alla Central Intelligence Agency americano o al Secret Intelligence Service britannico. Esiste il Global Security Reporting Program, una sorta di servizio di human intelligence composto da circa 30 funzionari operanti in tutto il mondo, creato poco dopo l’11 settembre, ma all’interno del ministero degli Esteri, dunque composto e gestito da diplomatici, non da funzionari dell’intelligence.

“Nel corso del tempo, ciò ha lasciato un vuoto, dal momento che il Canada ha rinunciato a perseguire la raccolta di informazioni all’estero che non sono correlate a una concezione più rigorosa delle minacce alla sicurezza nazionale, ma che sono comunque necessarie per i governi nel XXI secolo”, scrivono gli esperti. Ovvero, il Canada si ritrova oggi nella stessa situazione di alcune medie potenze europee davanti al (falso) dilemma tra sicurezza interna e intelligence all’estero hanno preferito la prima ignorando i vantaggi della seconda.

Il 27 marzo scorso sono ripresi i lavori della commissione sulle interferenze straniere presieduta dalla giudice Marie-Josée Hogue, incaricata di accendere i riflettori sulle elezioni del 2019 e del 2021. Ma anche di gettare le basi per una riforma dell’intelligence canadese su cui sta riflettendo il governo di Justin Trudeau. Che basta evocarla e già appare chiara la nuova postura di Ottawa che evidentemente non piacerà a Pechino, ma non solo.



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