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L’esempio di De Gasperi per la politica di oggi. L’analisi di Ornaghi

Di Lorenzo Ornaghi

Nel discorso che De Gasperi fece a Bruxelles nel 1948 ciò che colpisce oggi è il nesso che lega valori e scopi dell’impegno personale alla capacità di innalzare la visione e l’azione di chi fa politica. Un simile nesso solleva in noi la domanda se nella causa per cui il cristiano risponde alla vocazione per la politica non stia il fondamento stesso della sua capacità di interpretare e cercare di orientare tutto ciò che interessa la vita di un popolo. L’analisi di Lorenzo Ornaghi, presidente dell’Alta Scuola di economia e relazioni internazionali e già rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

Leggere il testo del discorso “Le basi della democrazia”, tenuto da Alcide De Gasperi il 20 novembre 1948 a Bruxelles, desta un’emozione e rafforza considerazioni di natura duplice. In ogni lettore si rinnova l’ammirazione per la capacità dello statista di scorgere nel presente le positive opportunità da cui dipenderanno il domani della politica e quello della democrazia. L’attualità del discorso, peraltro, accresce la percezione amara di dover rilevare che poco si sia riusciti a scongiurare dei pericoli per la democrazia che De Gasperi indicava.

Ci si trova a riflettere sui motivi evidenti e sulle ragioni nascoste per cui l’insegnamento degasperiano sembra sospeso sulla successiva storia del Paese, ovvero circoscritto in una singolarità così straordinaria da renderlo impraticabile in modo coerente. L’attualità viene avvertita non appena De Gasperi osserva come in Italia “noi facciamo uno sforzo per non rinchiuderci egoisticamente dentro le frontiere nazionali, per espanderci invece, con la nostra solidarietà vitale, sino alle frontiere della stessa civiltà”.

In questa osservazione si riflettono quei lineamenti di democrazia che egli ritiene indispensabili affinché il nostro Paese sia protagonista della nuova storia dell’Europa. La democrazia soffre delle inclinazioni ai vizi da cui ogni regime politico è inevitabilmente affetto. Nondimeno, la sua idea e la sua stessa realtà non sono mai comprimibili per intero dentro le forme di un regime politico. E non lo sono in virtù del nesso che lega democrazia e civiltà.

De Gasperi, scegliendo di impiegare in più di un passaggio del suo discorso il termine “civiltà”, ritiene anche opportuno specificarlo ogni volta in quell’elemento della realtà senza il quale cultura e civiltà dell’Europa non sarebbero divenute ciò che sono state e ancora sono: il cristianesimo. Stiamo rischiando di smarrire quale sia il senso profondo del voler prendere parte attiva alla politica e stiamo perdendo la consapevolezza che, seppure si assista spesso a un’irritante politica di second’ordine, essa resta essenziale nel campo dell’agire umano.

Proprio per questo motivo, nel discorso di De Gasperi ciò che colpisce oggi è il nesso che lega valori e scopi dell’impegno personale alla capacità di innalzare la visione e l’azione di chi fa politica. Un simile nesso solleva in noi la domanda se nella causa per cui il cristiano risponde alla vocazione per la politica non stia il fondamento stesso della sua capacità di interpretare e cercare di orientare tutto ciò che interessa la vita di un popolo.

Le preoccupazioni di De Gasperi verso i pericoli cui la democrazia è esposta sembrano rispecchiare la chiarezza ed esattezza previsionale dello statista. La democrazia, quando la politica non ne sappia disegnare un orizzonte affidabile, corre il rischio di deformarsi in un mero “regime di istituti”. E quando il trinomio “libertà, giustizia e pace” non risulti più una realtà da preservare e attuare, ogni regime democratico svilisce e mortifica quella virtù che è lo “slancio umano”.

Le basi morali di una democrazia non potranno mai essere assicurate solo dalla classe politica. E sarebbero fragili quando non posassero sulla coscienza morale dei cittadini e sui costumi che regolano la loro comunità.

Un passaggio del discorso di De Gasperi merita di essere richiamato nella sua interezza: “Al popolo sovrano non bastano le virtù dell’obbedienza e della disciplina; esso deve avere anche il senso della responsabilità di governo, il sentimento della solidarietà e della comunità, la forza morale di auto-limitare le proprie libertà in confronto dei diritti altrui e l’energia di non abusare delle istituzioni democratiche per interessi di parte o di classe.

Nei momenti più decisivi, quando l’elettore è chiamato a esercitare il diritto di voto, egli deve essere incorruttibile in confronto alle lusinghe dei demagoghi e dei ricatti dei potenti e quando agisce nella manifestazione collettiva deve vigilare perché la sua coscienza morale non venga sommersa dalla marea spesso istintiva e irrazionale della massa.

E tuttavia il suo spirito dovrà essere aperto al più profondo sentimento comunitario, dovrà sentire vivissimo il senso della fraternità, e la democrazia dovrà costituire per lui non semplicemente un regime di istituti, ma una filosofia interiore che si alimenta non solo degli elementi razionali nell’interesse comune, ma anche e soprattutto degli elementi ideali che pervadono le tradizioni spirituali e sentimentali e la storia della nazione”.

De Gasperi guarda alla democrazia con quel realismo che soltanto l’ethos politico riesce a far sentire non già quale atteggiamento individuale, bensì come essenziale criterio della visione politica. È il realismo di chi conosce quali e quanti possano essere i risultati positivi dello slancio umano. È il realismo del cristiano che, anche quando l’avveni- re sembra farsi oscuro, coltiva il convincimento di non avere alcun diritto “di disperare nell’uomo, né come individuo né come collettività”.

Rifugiarsi nel presente per cercare di scansare le paure che esso genera mortifica ogni desiderio di slancio umano, immiserisce ogni scopo buono della vita democratica, degradando la politica a conservazione perenne di ciò che è o è diventata, anziché strumento principale per rendere la democrazia un fine sempre desiderabile. Le trasformazioni più impetuose si possono orientare solo quando la politica allarga gli orizzonti temporali della democrazia.

Tanto più la politica riuscirà in questo suo compito, quanto più essa saprà applicare la “pazienza misericordiosa del Cristianesimo”. Ed è questa “pazienza misericordiosa” il viatico più indispensabile per una civiltà che abbia consapevolezza di essere ancora “in marcia”: se difendere la democrazia “col metodo della libertà è cosa dura, ma l’esperienza per essere meritoria dev’essere costante e condotta a fondo”, di fronte a nessun evento “ci lasciamo andare alla deriva, perché non rappresentiamo un partito e nemmeno soltanto una nazione ma siamo una civiltà in marcia, e le ragioni della civiltà non tollerano né soste né abdicazioni”.

Articolo pubblicato sull’ultimo numero della rivista Formiche



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