Il cristiano, lo statista, il leader politico, il profeta, il costruttore, De Gasperi ha ancora tanto da dire alla politica e alla società di oggi: i suoi ideali sono rimasti vivi e intatti nonostante il trascorrere dei decenni, le sue intuizioni restano valide e attuali, il suo stile andrebbe elevato a paradigma per chi vuol servire la cosa pubblica. Il commento di Angelino Alfano, presidente della Fondazione De Gasperi
A settant’anni dalla sua scomparsa, ricordare Alcide De Gasperi significa onorare l’uomo di Stato che è stato arrestato dai fascisti, ha battuto i comunisti, ha creato il rapporto speciale con gli Stati Uniti d’America, ha dato il primo e decisivo slancio al processo di integrazione europea, ha avviato – e in buona misura realizzato – la ricostruzione del nostro Paese.
Ha ottenuto la riammissione dignitosa dell’Italia nel consesso delle nazioni dopo i disastri e le umiliazioni della guerra, ha saputo spiegare al re che doveva prontamente lasciare l’Italia dopo l’esito del referendum del 2 giugno del 1946, è riuscito a dire di no al Papa quando non ne ha condiviso l’indicazione politica, salvaguardando così la laicità dello Stato.
Ha avuto la capacità di unire le grandi famiglie politiche del nostro Paese nella straordinaria stagione ricostruttiva del dopoguerra, realizzando tutto questo con la pretesa cristiana di orientare la propria azione al bene comune, in primo luogo la pacificazione nazionale. Che questo fosse Alcide De Gasperi lo sapevano gli italiani di ieri che, stazione dopo stazione, attesero, addolorati e commossi, il passaggio del treno che portava le spoglie del presidente dal suo Trentino a Roma, per poi accompagnarlo come un fiume silenzioso fino alla sua ultima dimora nella capitale.
E lo sanno gli italiani di oggi che lo riconoscono come l’unico padre della Repubblica realmente rispettato da tutti e, mi sia permesso perché ne ho certezza, cristianamente venerato da molti. Tre parole lo descrivono nella sua autenticità: fede, coraggio e visione. Ha avuto fede in Dio e la sua natura di cristiano impegnato in politica ha sempre caratterizzato l’impegno fino a fargli dire che avrebbe preferito essere ricordato come un bravo cristiano piuttosto che come un bravo politico.
In realtà, le due dimensioni si fusero in un unicum di impegno concreto e slancio ideale. E delle categorie cristiane ha fatto uso anche a mezzo di parole non politiche come “perdono”: con questa parola si rivolse al congresso dei comandanti partigiani il 28 ottobre del 1950. Chiese il loro aiuto nel “superare lo spirito funesto delle discordie” e aggiunse: “Si devono lasciar cadere i risentimenti e l’odio; si deve perdonare”.
Chi mai tra i politici della modernità avrebbe usato queste parole? La sua fede non è stata solo religiosa: è stata fede nella possibilità di riscatto di una nazione in ginocchio, fede nella capacità che l’Italia potesse sperimentare una convivenza libera, democratica e pacifica dopo una dittatura e una guerra civile, fede nell’idea che popoli che si erano combattuti, provocando milioni di morti, potessero costruire insieme un avvenire condiviso di pace e prosperità, attraverso istituzioni comuni, sognando gli Stati Uniti d’Europa.
Questa fede ha animato il suo coraggio e la sua visione. Avviando i lavori dell’Assemblea costituente, richiamò le grandi culture nazionali e riconobbe che “operano nella Repubblica italiana le tendenze universalistiche del cristianesimo, quelle umanitarie di Giuseppe Mazzini, quelle di solidarietà del lavoro, propugnate dalle organizzazioni operaie”.
Vinse, guidando il governo e la Democrazia cristiana, le elezioni del 18 aprile del 1948 contro Togliatti e il suo Fronte democratico e popolare, e fu la prima vera sfida bipolare della democrazia italiana, ottenendo la maggioranza assoluta. E tuttavia volle costruire una coalizione sul presupposto che non si governa da soli una grande democrazia. Intuì quanto il Paese avesse bisogno di momenti unitari e istituì (lui, De Gasperi, altro che la consueta polemica destra/sinistra) la festa del 25 aprile.
Da fiero trentino capì che un’Italia unita dovesse offrire al sud strumenti speciali e straordinari per attenuare i divari e creò la Cassa per il Mezzogiorno, così come diede avvio all’Eni, sostenendo l’intuizione di Enrico Mattei. Le riforme dei suoi governi toccarono tutti i gangli essenziali della società e gli elementi cruciali che connotano l’attuale democrazia italiana portano indelebile la sua traccia: europeismo, atlantismo, libertà di mercato, solidarietà, sanità e istruzione universali.
Potrei andare avanti molto a lungo. La sua visione fu profetica. Cito solo due esempi. Comprese sin dai primi vagiti della Repubblica che il sistema parlamentare puro avesse necessità di un correttivo per garantire la stabilità dei governi e per questo propose una modifica alla legge elettorale con un piccolo premio di maggioranza; fu chiamata “Legge truffa” e dopo più settant’anni siamo ancora lì, alla ricerca di una soluzione che De Gasperi aveva fin da subito consegnato all’Italia.
Altrettanto profeticamente, colse che un’Europa forte, indipendente, prestigiosa dovesse necessariamente dotarsi di una forza militare e promosse la Comunità europea di Difesa. Morì il 19 agosto del 1954 con la “spina nel cuore” della bocciatura, da parte dell’Assemblea nazionale francese, del trattato di ratifica. E così, anche in Europa, dopo settant’anni, siamo al punto in cui ci aveva lasciato De Gasperi con una nitida visione che altri non capirono.
Gli amici e i suoi elettori lo amarono, gli avversari lo rispettarono, la saggezza popolare portò gli italiani a una comprensione profonda del suo essere e del suo agire. Sua figlia, Maria Romana, ha regalato per decenni, a chi non l’ha conosciuto, un racconto delicato e intimo della figura cristallina dell’archetipo di una leadership al servizio della nazione, di un marito devoto e di un padre innamorato.
De Gasperi, il cristiano, lo statista, il leader politico, il profeta, il costruttore, ha ancora tanto da dire alla politica e alla società di oggi: i suoi ideali sono rimasti vivi e intatti nonostante il trascorrere dei decenni, le sue intuizioni restano valide e attuali, il suo stile andrebbe elevato a paradigma per chi vuol servire la cosa pubblica. Forse per questo gli italiani lo ricordano come il migliore dei servitori della Repubblica e la Chiesa lo ha riconosciuto servo di Dio.
Formiche 200