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Cosa resta della “diversità morale” a sinistra? La riflessione di Merlo

Con il dovuto rispetto per la storia politica, culturale ed ideologica della sinistra italiana nel rapporto tra etica e politica nessuno, ma proprio nessuno, può e deve rivendicare una verginità esclusiva

La questione morale, purtroppo, resta una costante nella cittadella politica italiana. Un malcostume che accompagna la nostra vita pubblica da decenni e che, purtroppo, resta una degenerazione nella vita dei partiti. O meglio, in ciò che resta dei partiti dopo l’uragano di tangentopoli e l’azzeramento dei partiti tradizionali e organizzati, radicati nei territori ed espressione di interessi sociali e culturali. Ma l’aspetto che non si può non cogliere in queste ultime vicende – dallo scandalo di Bari e della Puglia a quello di Torino – non è solo il plateale coinvolgimento nelle pratiche del malcostume anche di esponenti del Partito democratico o vicini al Partito democratico. Semmai, si tratta di prendere atto, e definitivamente – anche se quasi tutti lo sanno ma ipocritamente continuano a nasconderlo – che non c’è nessuno, ma proprio nessuno, che sulla questione morale può vantare una esclusiva, una primogenitura o una verginità. E men che meno la sinistra ex e post comunista italiana.

Certo, tutti sappiamo – almeno quelli che non fingono – che storicamente è stata la sinistra, nelle sue multiformi espressioni e declinazioni, a rivendicare l’esclusiva dell’onestà nella politica. Locale e nazionale. Non è neanche il caso di ricordare i vari passaggi politici e storici talmente sono noti e palesi. Basti ricordare gli attacchi ripetuti, insistenti e addirittura ossessivi contro l’intera esperienza della Democrazia cristiana per rendersene conto. Attacchi che sono poi platealmente culminati con la proposta, dopo il preambolo di Donat-Cattin del 1980, di un “governo di alternativa morale al sistema di potere della Democrazia cristiana”. Una proposta che ha segnato anche il punto più basso della intera esperienza politica, culturale e storica del Partito Comunista Italiano. Un filo rosso che poi, e puntualmente, è proseguito con i partiti che sono succeduti al Pci, malgrado la presenza all’interno di questi nuovi soggetti politici di alcune culture e filoni di pensiero distinti e distanti dalla sinistra. Penso, ad esempio, alla cultura e alla tradizione del cattolicesimo democratico e popolare nella prima fase del Partito democratico.

Eppure, al di là dei partiti plurali e dell’archiviazione della prima repubblica, il vizio della “superiorità morale” della sinistra post comunista e di tutto il carrozzone mediatico, televisivo e giornalistico che ha continuato a sostenerla, non si è mai discostato da questo caposaldo. E cioè, la sinistra è “diversa” rispetto a tutti gli altri attori politici perchè è semplicemente più onesta e moralmente superiore. Un refrain che persiste tuttora e che continua, purtroppo, ad essere periodicamente e puntualmente smentito. E ciò che sta emergendo da Bari, dalla Puglia e da Torino – solo per fermarsi alle ultimissime vicende giudiziarie dove sono coinvolti esponenti del Pd, almeno così emerge dalle indagini in corso – non sono che la conferma che non esiste alcuna “superiorità morale” da sbandierare, non esiste alcuna “diversità morale” rispetto agli altri partiti, a tutti gli altri partiti e, soprattutto, non esiste alcuna esclusiva nel campo della correttezza e della trasparenza dell’attività politica ed amministrativa.

Al riguardo, sarebbe opportuno che ne prendesse atto anche la nuova dirigenza del Pd che, almeno su questo versante, appare del tutto estranea ad una modalità del far politica fatta di intrecci clientelari e di zone d’ombra. Serve, cioè, uno scatto d’orgoglio e una iniziativa politica da parte del principale partito della sinistra italiana che metta un punto a capo definitivo sulla antica e ormai sempre più grottesca “diversità morale”. Seppur con il dovuto rispetto per la storia politica, culturale ed ideologica della sinistra italiana ma con la certezza che nel rapporto – sempre difficile e articolato – tra etica e politica nessuno, ma proprio nessuno, può e deve rivendicare una verginità esclusiva.

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