Haliva lascia l’intelligence militare dell’esercito ammettendo le responsabilità per l’attacco di Hamas. Ma chiede anche una commissione d’inchiesta. Come a dire: i servizi non sono gli unici colpevoli
Nella sua lettera di dimissioni da capo dell’intelligence militare dell’esercito israeliano (Aman), il maggiore generale Aharon Haliva ammette che la sua divisione “non è stata all’altezza del compito affidato”. “Nel corso della mia carriera”, si legge, “ho capito che all’autorità si affiancano pesanti responsabilità”.
È il primo generale dello stato maggiore dell’esercito a dimettersi dopo gli errori che hanno portato all’attacco di Hamas e alla guerra a Gaza. Già la settimana dopo l’attacco Haliva si è assunto pubblicamente la responsabilità, scrivendo: “Non siamo stati all’altezza della nostra missione, mi assumo la piena responsabilità del fallimento”. Secondo il quotidiano israeliano Times of Israel, l’alto ufficiale è attualmente coinvolto “nelle indagini interne” dell’esercito sui “fallimenti nel periodo precedente al massacro di Hamas”. Le conclusioni dovrebbero essere presentate al generale Herzi Halevi, capo di stato maggiore, entro l’inizio di giugno.
Ma nella lettera Haliva chiede anche l’istituzione, come fu nel 1973 dopo la Guerra del Kippur, di una commissione d’inchiesta sugli errori che hanno portato, il 7 ottobre, all’assalto di Hamas nel Sud di Israele. Il suo auspicio è che questa commissione “possa indagare e scoprire in modo approfondito, completo e preciso tutti i fattori e le circostanze che hanno portato ai difficili eventi”. Come a dire: non sono l’unico, l’intelligence non è l’unica ad aver sbagliato.
Infatti, il problema principale per l’intelligence israeliana non sembra essere stata la raccolta di informazioni essendo a conoscenza del piano di Hamas da circa un anno prima dell’attacco. Le difficoltà hanno riguardato, come capita nella gran parte dei casi, l’analisi delle informazioni da parte dell’intelligence e del governo. In pratica, si pensava che a Hamas interessasse soltanto dettare legge a Gaza e che non avesse né l’intesse né le capacità di attaccare Israele in maniera così massiccia.
Proprio come accaduto nel 1973, quando l’intelligence e il governo di Israele non diedero credito alle informazioni inviate da Ashraf Marwan, genero del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, così come alle analisi dell’intelligence italiana, in particolare di Fulvio Martini, nome in codice Ulisse, a inizio anni Settanta capo dell’Ufficio situazione del Servizio informazioni difesa (Sid) per finire la carriera alla guida del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (Sismi). Nella sua autobiografia, “Nome in codice Ulisse”, l’ammiraglio ha ricordato i suoi viaggi in Israele già nel 1971, quando “avvertii negli ambienti militare un senso di sicurezza che secondo me non aveva molto fondamento”. In particolare presso l’Aman. In quel caso, ricorda lo stesso Ulisse, fu l’intelligence a pagare.