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La Croazia fa un passo avanti sulle lobby. E allarga il fronte Ue

Di Federico Anghelé e Michele Crepaz

Dopo la Finlandia, la Croazia è l’ultimo Stato membro della Ue ad aver approvato una legge sulla trasparenza delle attività di lobbying, portando a sette il numero complessivo dei Paesi Ue che dispongono di una regolamentazione nazionale in materia. E l’Italia? Il commento di Federico Anghelé, direttore The Good Lobby e Michele Crepaz, professore alla Queen’s University Belfast

La Croazia è l’ultimo Stato membro della Ue, dopo la Finlandia nel 2023, ad aver approvato una legge sulla trasparenza delle attività di lobbying, portando a sette il numero complessivo dei Paesi Ue che dispongono di una regolamentazione nazionale in materia. Il 18 marzo, il Sabor (l’organo legislativo croato) ha approvato la Legge sul lobbismo, parte di una più ampia strategia anticorruzione in programma per il decennio 2021-2030.

I contenuti della legge sono fortemente ispirati alle migliori pratiche internazionali. In particolare, i report del Greco, l’organismo anticorruzione del Consiglio d’Europa, e le periodiche relazioni della Commissione europea sullo stato di diritto negli Stati membri hanno spianato la strada alla riforma mentre le raccomandazioni dell’Ocse hanno influenzato molte delle disposizioni della legge. Come si legge, i principi guida sono all’insegna del governo aperto, della trasparenza, della responsabilità e dell’integrità.

Traducendosi, praticamente, in un provvedimento che dà una definizione ampia del lobbying, come qualsiasi forma di comunicazione, orale o scritta, che sia parte di uno sforzo di advocacy o di rappresentanza di interessi diretta verso funzionari pubblici (eletti e non). Così facendo, la legge si applica alle attività di influenza condotte da una vasta gamma di organizzazioni che va dalle associazioni imprenditoriali alle società di consulenza, dalle aziende al terzo settore. Altrettanto ampia è la definizione dei target del lobbying, che comprende tanto l’esecutivo quanto il Parlamento, oltre alle autorità indipendenti, le amministrazioni locali e persino decisori generalmente più difficili da inquadrare, come i consiglieri al servizio dei ministri.

Sulla falsariga di quanto avviene in Irlanda o in Francia, la legge istituisce un registro obbligatorio per la trasparenza. L’iscrizione è un requisito indispensabile per poter svolgere attività di lobbying, pena il rischio di sanzioni. Gli iscritti hanno obblighi di trasparenza: devono annualmente dichiarare quali attività di rappresentanza hanno intrapreso, indicando anche le persone coinvolte nell’attività, i temi, i target e le modalità di comunicazione utilizzate. I dati sono gestiti da un’autorità di controllo indipendente già operativa, la Commissione per la risoluzione dei conflitti di interessi, che ha ampi poteri investigativi e di applicazione della legge, ai quali si è ora aggiunto il monitoraggio dell’attività di lobbying.

Le sanzioni per chi svolge attività di lobbying ma non è iscritto al registro, per la mancata presentazione delle relazioni annuali o per la falsa dichiarazione variano ma possono arrivare fino a un massimo di 20.000 euro e il divieto di esercitare attività di rappresentanza di interessi fino a cinque anni. La legge prevede anche un codice di condotta valido tanto per i lobbisti quanto per i titolari di cariche pubbliche. Ad esempio, i decisori pubblici sono tenuti a verificare se le organizzazioni che li contattano sono iscritte al registro e a rifiutare il contatto in caso contrario. Sono inoltre previste disposizioni per prevenire il rischio di porte girevoli tra le istituzioni e le professioni della rappresentanza, con un periodo di raffreddamento di 18 mesi. Se verrà applicata con rigore, quella croata potrebbe essere una delle più complete leggi in materia di lobbying esistenti in Europa.

Una direzione che speriamo il nostro Paese voglia presto seguire. Dopo oltre 100 proposte di legge andate a vuoto, tra cui l’ultima, nella 18esima legislatura, che sembrava a un passo dall’approvazione definitiva, l’Italia sembra nuovamente avviata verso un tentativo di regolamentare un ambito cruciale per il funzionamento delle istituzioni.

Dopo una lunga fase istruttoria, il presidente della Commissione Affari costituzionali Nazario Pagano ha assicurato che entro la fine di aprile verrà presentato un nuovo testo. Che noi speriamo si ispiri alle buone pratiche internazionali di cui il caso croato è l’ultimo esempio. Anche perché, dopo ormai 50 anni di attesa, sarebbe una vera beffa se l’Italia approvasse un testo totalmente anacronistico, non aggiornato rispetto a quanto sta avvenendo nel resto del continente (e del mondo).



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