Nell’intelligenza artificiale, l’Europa si trova in una situazione molto simile a quella che si trovava nell’aeronautica nel 1970 o nel Gps nel 2000. Noi europei abbiamo la stessa sensazione di allora: non ci sarà mai un’azienda europea in grado di competere con i leader del mercato. E in effetti stiamo perdendo la corsa all’innovazione: non abbiamo nessuna azienda europea nel gruppo delle prime 20 aziende tecnologiche. Ma deve essere per forza così? Il commento di Marco Bani, responsabile Relazioni Istituzionali, Formazione, Digitalizzazione Partito Democratico – IDP
Nel 1970, due produttori di aerei commerciali dominavano nei cieli: Boeing e McDonell Douglas detenevano rispettivamente una quota di mercato del 50% e del 35%, mentre altri produttori di aerei condividevano il restante 15%. A quel tempo, alcuni governi europei presero una decisione epocale: creare un’azienda europea produttrice di aerei commerciali in grado di competere con le due grandi: così nacque Airbus. Oggi, 50 anni dopo, la scommessa è vinta: Boeing detiene circa il 40% della quota di mercato e Airbus circa il 60%. Ma allora l’Europa, quando i vari paesi riescono a collaborare, può creare campioni che possono competere a livello globale?
La pensa così anche Mario Draghi, che ha tenuto da poco in Belgio una conferenza europea di alto livello, una sorta di spoiler del suo rapporto che rilascerà a Giugno. Secondo il nostro ex-premier, per essere competitivi nello sviluppo tecnologico bisogna però superare 3 grandi ostacoli:
● l’investimento insufficiente in tecnologie digitali e avanzate rispetto ai rivali internazionali. Nonostante l’Europa sia forte nella ricerca, spesso fatica a trasformare le innovazioni in successi commerciali, anche per colpa degli scarsi investimenti. Sul fronte pubblico gli investimenti in Ricerca & Sviluppo sono oggi ai livelli americani, intorno allo 0,7% del prodotto interno lordo, ma sul versante privato, invece, il ritardo è notevole: la spesa delle aziende è pari all’1,2% del Pil, rispetto al 2,3% negli Stati Uniti.
● la dipendenza dell’Europa da risorse esterne, come le materie prime critiche necessarie per tecnologie come i veicoli elettrici e la tecnologia delle batterie, oppure i semiconduttori. Questa dipendenza rende l’Ue vulnerabile a decisioni geopolitiche che possono influenzare l’accesso a queste risorse essenziali.
● la mancanza di una strategia coordinata e di grande scala per rispondere alle sfide tecnologiche e competitive: l’Europa possiede il vantaggio di un grande mercato interno e un’eccellente capacità di ricerca, ma necessita di una strategia integrata che promuova l’investimento, la collaborazione transnazionale e il superamento delle barriere interne. Mentre gli americani spendono nei campi più innovativi, ossia il digitale, gli europei continuano a investire nei settori più tradizionali. Ci sono solo due aziende europee tra quelle che investono di più, ed entrambe (Volkswagen & Mercedes) devono far fronte alla transizione verde che mina il loro business principale.
Tornando al nostro esempio iniziale, probabilmente nel 1970 la maggior parte degli analisti economici avrebbe previsto che i due grandi produttori, Boeing e McDonell Douglas, si sarebbero spartiti il mercato dell’aviazione commerciale per molti anni. Tuttavia, la Boeing ha acquisito la McDonell Douglas nel 1996, proprio a causa dell’ascesa di Airbus. Se i governi europei non avessero intrapreso l’azione decisiva di creare un produttore di aeroplani nel 1970, probabilmente il nostro prossimo viaggio sarebbe a bordo di un Boeing o di un McDonell Douglas.
Dopo Airbus, c’è un altro esempio che ha dimostrato come l’Europa è riuscita nuovamente a ribaltare il divario tecnologico che aveva con gli Stati Uniti: negli anni ‘90 gli americani avevano sviluppato un sistema di posizionamento globale per scopi militari che però offriva una precisione limitata per usi civili: il famoso Gps. Nel corso degli anni 2000, l’Europa ha deciso di lanciare il proprio sistema di posizionamento globale, Galileo, facendolo in modo aperto e compatibile con il Gps americano, ma offrendo la massima precisione, anche per usi civili.
Questo progetto ha portato alla successiva decisione degli Stati Uniti di eliminare i limiti del proprio sistema Gps e di offrire la stessa precisione, migliorando l’utilizzo per tutti. Oggi GPS e Galileo operano contemporaneamente e dalla decisione europea di progettare un sistema aperto si sono sviluppate le innumerevoli applicazioni di geoinformazione attualmente disponibili nei nostri smartphone.
Apertura e collaborazione sono anche alla base della “libertà della conoscenza”, un nuovo concetto che si trova nel report sul mercato unico europeo scritto da Enrico Letta: le risorse chiave per la futura competitività e il progresso sono i dati, le idee e le competenze che esistono in tutto il continente, l’intelligenza collettiva del ventunesimo secolo. Per l’ex premier, questa nuova libertà può portare a nuovo progresso scientifico, e quindi anche allo sviluppo di tecnologie come l’intelligenza artificiale, attraverso diverse azioni:
● potenziare le infrastrutture: l’UE dovrebbe dare priorità al completamento di una rete condivisa di risorse di calcolo e supercomputer per consentire ai ricercatori e alle imprese – rispettando i prerequisiti allineati agli interessi pubblici – di accedere a capacità di calcolo ad alte prestazioni, uno degli ingredienti fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e non solo.
● rimuovere le barriere all’accesso ai dati, incentivando la condivisione e l’accessibilità attraverso i settori e le frontiere: I dati sono fondamentali per il processo decisionale in diversi ambiti, come la formazione delle politiche pubbliche, la risposta ai disastri e l’avanzamento della ricerca. L’accesso ai dati permette agli individui e alle organizzazioni di generare soluzioni innovative ai problemi esistenti.
● sostenere una governance dei dati robusta che protegga i dati personali pur facilitando il libero flusso di dati non personali. I regolamenti dell’UE, come il Gdpr, stabiliscono una base di fiducia che permette a cittadini e imprese di condividere i dati in modo sicuro.
● promuovere la collaborazione transfrontaliera e migliorare la trasparenza nello sviluppo e nell’impiego delle tecnologie IA: cruciale per affrontare sfide complesse e per assicurare che l’innovazione sia allineata con i valori europei di diritti umani, privacy e democrazia.
● colmare il divario con Usa e Cina negli investimenti in ricerca e innovazione: i settori pubblico e privato devono allineare le loro strategie di finanziamento con i principi della conoscenza aperta per massimizzare l’impatto, condividendo un insieme di obiettivi comuni che mirano a superare questioni globali come l’invecchiamento della popolazione e il cambiamento climatico.
In sintesi la “ricetta Letta” prevede una visione del progresso scientifico guidato dalla curiosità, l’utilizzo dei dati per risolvere i grandi problemi attuali, grandi investimenti pubblici e privati per competere globalmente, un’attenzione ai principi etici nello sviluppo tecnologico. Abbiamo visto che questa “ricetta” è già stata applicata con successo con il sistema Galileo: decidendo di creare un sistema aperto, adesso possiamo guidare attraverso tutti i territori del mondo senza perderci.
Nell’intelligenza artificiale, l’Europa si trova in una situazione molto simile a quella che si trovava nell’aeronautica nel 1970 o nel Gps nel 2000. Noi europei abbiamo la stessa sensazione di allora: non ci sarà mai un’azienda europea in grado di competere con i leader del mercato. E in effetti stiamo perdendo la corsa all’innovazione: non abbiamo nessuna azienda europea nel gruppo delle prime 20 aziende tecnologiche. Ma deve essere per forza così? Il problema dell’intelligenza artificiale è un po’ più complesso, perché si basa sulla combinazione di hardware e software.
E in entrambi i campi l’Europa è notevolmente in ritardo. Lo sviluppo dei modelli più avanzati di intelligenza artificiale richiede processori molto avanzati come quelli sviluppati da Nvidia, AMD e Intel. In Europa non progettiamo né produciamo questo tipo di processori, dipendiamo interamente dall’acquisizione di questi chip a un costo molto elevato sul quale non abbiamo alcun controllo. Una risorsa scarsa e quindi diventata preziosa. Inoltre la progettazione di software e modelli AI è molto difficile da replicare in Europa, anche se disponessimo dei chip più avanzati del momento. Data questa situazione, non possiamo far altro che regolamentare l’intelligenza artificiale, diventando arbitri di una partita in cui non abbiamo giocatori per competere.
Tuttavia, l’Europa può colmare il divario tecnologico nel campo dell’intelligenza artificiale se è in grado di seguire i modelli Airbus e Galileo. Ad esempio con il Chips Act, ci siamo resi conto della sfida che rappresenta lo sviluppo di nuovi chip. L’obiettivo adesso è molto poco ambizioso (arrivare a produrre internamente almeno il 20% dei chip che ci servono), ma stiamo vedendo l’interesse di grandi multinazionali, con investimenti miliardari in Europa.
Inoltre dobbiamo riconoscere la visione del direttore generale Roberto Viola (un altro italiano!) di creare fabbriche di intelligenza artificiale in Europa in luoghi strategici come grandi centri di supercalcolo e altri, con la volontà di sfruttare al massimo l’utilizzo dei dati europei per aumentare la competitività delle nostre imprese e dei nostri ricercatori. Noi abbiamo Leonardo, uno dei supercomputer più potenti al mondo, sul quale è stato addestrato Mistral, la startup AI più promettente d’Europa.
Ma questo non basta. Come suggeriscono il rapporto di Letta e l’esempio di Galileo, bisogna impegnarci nello sviluppo della tecnologia libera e nella collaborazione internazionale. D’altro canto, sarà molto difficile sviluppare i seguenti modelli di IA generativa solamente da parte di ricercatori di istituzioni pubbliche: abbiamo bisogno di una collaborazione globale tra istituzioni e abbiamo bisogno della competitività offerta dal settore privato. È qui che abbiamo bisogno del modello Airbus. L’Europa deve favorire le condizioni di creare una grande azienda europea per offrire software e servizi di intelligenza artificiale seguendo il modello Airbus. Ci vorrà tempo, è chiaro. Serviranno risorse, ovviamente. Non sarà redditizio per alcuni anni, senza dubbio. Ma non dobbiamo pensare al 2030.
Dovremmo pensare al 2070. Quali saranno le principali aziende tecnologiche nel 2070? Qualcuno di loro sarà europea? Creare questa azienda può sembrare rischioso, ma quanto costa non crearla? Dipendenza tecnologica assoluta e permanente. In questo caso il fatto che l’Europa sia leader nella regolamentazione degli aspetti etici dell’IA è un vantaggio. Un’azienda europea di intelligenza artificiale può sviluppare i propri prodotti secondo queste normative, diventando di conseguenza la prima opzione per le aziende e i governi europei di conformarsi alla legislazione europea. Non partiamo da zero: disponiamo di una rete europea per il calcolo ad alte prestazioni ( The European High Performance Computing Joint Undertaking, dove noi abbiamo il già citato Leonardo) che guida la ricerca nel campo del supercalcolo e può costituire un’ottima base su cui sviluppare questa azienda.
Potrebbe essere necessario adattare la regolamentazione della concorrenza, riconoscendo che, come nel caso dell’aeronautica, la concorrenza deve essere applicata al mercato globale, non solo a quello europeo se impedisce a una nostra azienda di competere con un’azienda dominante. Sicuramente dovremmo mettere da parte l’idea di campioni nazionali nell’ottica di qualcosa che abbia un respiro più ampio: il 90% degli investimenti europei in R&S avviene a livello nazionale, non a livello europeo. Dovremmo fare il contrario.
Mario Draghi, Enrico Letta, Roberto Viola, Galileo, Leonardo: nomi italiani che parlano di un’Europa che ce la può fare, che non si deve rassegnare, che può ancora prendere la leadership mondiale per un nuovo modello industriale di intelligenza artificiale che è ambientalmente sano, tecnicamente innovativo e socialmente inclusivo.
Work it harder, make it better, do it faster, makes us stronger, cantavano i Daft Punk. Un inno per la creazione di un nostro AIbus?