L’adesione all’Ue di dieci nuovi Paesi membri nel 2004, molti dei quali già appartenenti al blocco orientale, ha rappresentato un evento significativo nella storia europea. A venti anni di distanza e con una guerra nel nostro continente, l’allargamento è tornato sul tavolo e in cima all’agenda dei leader europei. L’analisi di Olivér Várhelyi, commissario europeo per l’Allargamento e la politica di vicinato
Vent’anni sono un periodo relativamente lungo, anche in politica. Pertanto, la consapevolezza interna dell’Ue riguardo l’importanza dell’allargamento si è evoluta in modo significativo. Guardando al 2004, quando ebbe luogo il grande allargamento di dieci Paesi, tutti pensavano che l’Europa fosse giunta al suo completamento, quindi non ci furono più grandi sviluppi successivi sul dibattito. Ma se si guarda a cosa è successo in vent’anni, da allora abbiamo accolto altri tre Paesi.
Abbiamo avuto una grave crisi finanziaria, una grave crisi del debito, la crisi migratoria e poi il Covid-19. Ora abbiamo la guerra nel nostro continente, qualcosa che nessuno aveva previsto. L’allargamento è quindi tornato sul tavolo e in cima all’agenda dei leader europei. Ci troviamo di fronte a un’altra ondata di questo processo attraverso la quale possiamo espandere la stabilità, la prosperità, la sicurezza e la pace che l’Unione europea rappresenta.
Se si guarda indietro alla precedente ondata, si nota che c’era un divario significativo nello sviluppo sociale ed economico tra gli Stati che hanno aderito e i Paesi già membri, e questo ha creato un periodo di integrazione lungo in seguito all’adesione. Ciò che cerchiamo di fare adesso è accelerare questa integrazione prima che gli Stati aderiscano all’Unione, perché sono moltissime le aree in cui potremmo già estendere i benefici dell’adesione per i cittadini e le imprese dei Balcani occidentali.
La Commissione ha messo sul tavolo una nuova cosiddetta “metodologia di allargamento”. Abbiamo anche aggiunto uno strumento politico e finanziario per aiutare il processo, perché se questi Paesi vogliono prendere parte al mercato unico e goderne i benefici, devono essere in grado di partecipare alla competizione e resistere alla concorrenza del mercato.
Tuttavia sono meno sviluppati, quindi dobbiamo aiutarli a raggiungere il livello in termini di applicazione delle stesse regole che seguiamo, e renderli in grado di fare gli investimenti necessari ad applicare le nostre stesse regole. Pertanto, stiamo fornendo finanziamenti aggiuntivi. Abbiamo in mente ambiti molto specifici in cui possiamo dimostrare che l’Europa fa un’enorme differenza.
Un esempio è l’Area unica dei pagamenti in euro (Sepa): si tratta di uno strumento, un insieme di regolamenti nell’Ue, che fa sì che le transazioni finanziarie all’interno dell’Unione funzionino come transazioni finanziarie all’interno degli stessi Stati membri. Se vuoi trasferire denaro da Roma a Milano, c’è un costo, ma se vuoi trasferire denaro da Roma a Tirana, il costo è completamente diverso.
E molto più alto. Estendere il sistema Sepa ai Balcani avrà gli stessi costi che effettuare bonifici all’interno dell’Unione europea. In questo modo, possiamo salvare le imprese e i cittadini dei Balcani occidentali semplicemente tagliando i costi. Ma questo significa anche che le loro banche devono applicare le stesse regole delle nostre.
Non dovrebbe essere una grande difficoltà perché si tratta di banche europee. Trovandosi già ad applicare queste regole in patria, non dovrebbe essere un grosso problema per loro applicare le regole europee anche nei Balcani occidentali. Sono molti gli ambiti in cui possiamo mostrare ai cittadini i risultati tangibili del percorso europeo seguito da questi Paesi.
Ora, abbiamo presentato tutti gli strumenti con cui la regione può accelerare la preparazione all’adesione all’Ue, come il Piano di crescita – un nuovo strumento – ma accanto a esso, dal 2020, abbiamo un mezzo ulteriore.
La Commissione ha infatti messo in campo il Piano economico e di investimenti per accelerare lo sviluppo economico ed eliminare quegli ostacoli che i Paesi si trovano ancora davanti: mancano le rotte commerciali; non ci sono ferrovie o autostrade tra le capitali; non sono collegati con l’Unione europea tramite autostrade e ferrovie; non hanno connessioni Internet a banda larga disponibili ovunque; mancano di energia e utilizzano la tecnologia più inquinante.
Il monopolio russo del gas deve essere interrotto per poter diversificare le fonti di energia. Queste sono le grandi sfide che i Balcani devono affrontare e per le quali abbiamo presentato il Piano economico e di investimenti, che ora mobilita 30 miliardi di euro (1/3 del Pil dei Balcani occidentali). Ciò dovrebbe creare l’opportunità per questi Stati di diventare un polo molto attraente per gli investitori e di creare crescita e occupazione.
Se vogliono raggiungere rapidamente l’Unione europea, dovranno crescere il doppio rispetto alla media annuale europea, e stiamo fornendo loro tutti gli strumenti per farlo. Devono convalidare il loro lavoro sulla riforma. È nel loro interesse farlo. Se guardate l’andamento di ciò che facciamo con il Piano economico e di investimenti, vedrete che è stato utilizzato più del 65% di tutti i fondi.
Questa è una delle parti di maggior successo dell’intero bilancio dell’Ue e, se si guarda al sostegno finanziario complessivo che forniamo ai Balcani, quello che emerge è che entro il 2027 questi riceveranno un sostegno paragonabile all’attuale sostegno alla coesione e ai Paesi che beneficiano dei Fondi strutturali in termini di intensità di aiuto pro capite.
Sarà il 90% degli attuali Paesi a beneficiare dei fondi di coesione e strutturali. Dal 2027, questi Stati avranno ogni mezzo a loro disposizione per essere pronti ad aderire all’Unione europea.
Analisi pubblicata sulla rivista Formiche 202