Le tensioni geopolitiche che stanno conducendo alla frammentazione dei mercati e al conflitto con la Cina, pongono le basi per ridurre progressivamente il desiderio di commerciare in dollari in un mondo molto più multipolare di quando il sistema basato sul dollaro fu varato, ottanta anni fa. Una nuova Bretton Woods può essere lo strumento per accompagnare in modo pacifico il mutare dei nuovi equilibri economici globali ed evitare nuovi conflitti
Sono passati ottant’anni da quando, mentre ancora non era terminata la Seconda guerra mondiale, i delegati di 44 Paesi si incontrarono negli Stati Uniti, a Bretton Woods nello Stato del New Hampshire, per definire un sistema monetario e commerciale globale per il mondo del dopoguerra. Il dibattito teorico principale al Mount Washington Hotel di Bretton Woods era tra John Maynard Keynes, che rappresentava la Gran Bretagna, e Harry Dexter White, in rappresentanza degli Stati Uniti.
Già da allora si delineò il nuovo equilibrio di potere tra i Paesi che vinsero la guerra. La tesi di Keynes, favorevole alla creazione di una valuta internazionale di riserva, il “Bancor”, fu sconfitta. Prevalse la tesi di White, sostenuta dal potere economico e politico degli Stati Uniti, a favore di un sistema monetario internazionale con al centro il dollaro, convertibile in oro, come principale valuta di riserva.
Il sistema di Bretton Woods venne poi completato dall’istituzione del Fondo monetario internazionale e poi dalla Banca Mondiale, come banca di sviluppo globale. Il sistema di cambi fissi varato a Bretton Woods non fu tuttavia in grado, nei successivi venti anni, di affrontare gli squilibri economici e commerciali tra i Paesi che vi aderirono. L’economista che nel modo più sintetico spiegò, negli anni Sessanta dello scorso secolo, il motivo per il quale il sistema non avrebbe retto fu Jacque Rueff, consigliere economico di Charles De Gaulle, che utilizzò a tal fine la “parabola del sarto”.
Immaginate, scrisse Rueff, di andare da un sarto per farvi un vestito e, quando andate a pagare, ricevere dal sarto la seguente proposta: se vi presto il denaro che mi state pagando, siete disposti a comprare un altro vestito? Il sistema creato a Bretton Woods faceva sì che i Paesi in surplus commerciale accumulassero dollari che servivano poi al Paese emettitore, gli Stati Uniti, di finanziare il proprio deficit commerciale. Il sistema saltò quando Nixon abolì la convertibilità dei dollari in oro, quando i francesi iniziarono a pretenderla.
In ogni caso, non c’è dubbio che il sistema favorì i “sarti”: favorì in altri termini la reindustrializzazione dell’Europa e del Giappone, anche se sancì il privilegio di chi emetteva dollari di poter finanziare agevolmente le proprie importazioni. Tuttavia, saltato il sistema di cambi fissi deciso a Bretton Woods, il ruolo del dollaro come valuta internazionale di scambio e di riserva di valore rimase grazie al peso dell’economia americana nel commercio internazionale.
Come rimasero le cosiddette istituzioni di Bretton Woods, con il loro carattere multipolare. Nel primo decennio di questo secolo, quando la Cina ancorò per un certo periodo il cambio dello yuan al dollaro, si parlò di una seconda Bretton Woods. Si ripeté, infatti, il meccanismo sperimentato nel primo ventennio post-bellico, grazie al quale la Cina accelerò la sua industrializzazione trainata dalle esportazioni e, investendo in titoli del debito americano il suo surplus commerciale, finanziava il deficit commerciale americano.
Ma cosa rimane oggi del sistema di Bretton Woods e quale riflessione è utile fare? La globalizzazione, con l’espansione del commercio internazionale, ha continuato a sostenere il ruolo del dollaro come valuta internazionale, ma allo stesso tempo con il sorgere di nuove potenze economiche ne ha minato le fondamenta.
Il ruolo attuale del dollaro come valuta internazionale non è più da tempo fondato sulla forza prevalente dell’economia americana e del suo ruolo nel commercio internazionale, ma si basa sulla fiducia nel sistema giuridico americano e le sue istituzioni finanziarie. In cambio di questo apporto all’ordine mondiale, il resto del mondo ha accettato il privilegio goduto dal Paese emittente la valuta internazionale per eccellenza. Tuttavia, l’uso del dollaro per fini di geopolitica, iniziato con le varie sanzioni finanziarie molto prima della guerra di aggressione all’Ucraina, ha determinato il fenomeno della “weaponization” del dollaro.
La guerra in Ucraina ha accelerato il fenomeno con le sanzioni riguardanti l’accesso al sistema di pagamenti Swift, sistema a controllo occidentale. Anche le tensioni geopolitiche, che stanno conducendo alla frammentazione dei mercati e al conflitto con la Cina per fini egemonici, pongono le basi per ridurre progressivamente il desiderio di commerciare in dollari in un mondo molto più multipolare di quando il sistema basato sul dollaro fu varato a Bretton Woods, ottanta anni fa.
Questa è anche la causa del declino del ruolo effettivo delle istituzioni di Bretton Woods, soprattutto del Fondo monetario internazionale, che per rivitalizzarsi necessita di una maggiore rappresentatività dei nuovi equilibri economici. In questo quadro gioca un ruolo crescente la tecnologia. Il sogno di Keynes di una valuta sovranazionale in un mondo pacifico diviene oggi tecnicamente, anche se non ancora politicamente, attuabile. Una digital currency sovranazionale è oggi possibile.
Se il mondo non va in guerra. Ma forse la principale eredità degli accordi di Bretton Woods, su cui riflettere, è proprio l’ammonimento che ricercare nuove regole condivise per un ordine mondiale è d’obbligo dopo lo sconvolgimento di una guerra mondiale, ma per un “rinnovato ordine mondiale”, sarebbe bene tentare di farlo prima di una guerra e non dopo. Una nuova Bretton Woods può essere lo strumento per accompagnare in modo pacifico il mutare dei nuovi equilibri economici globali ed evitare nuovi conflitti a cui troppi ormai sembrano arrendersi.
Analisi pubblicata nel numero della rivista Formiche 201