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La Cina accerchia Taiwan. Azioni e reazioni dopo l’insediamento di Lai

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

La Cina ha avviato le attese esercitazioni per rispondere all’insediamento di William Lai. Manovre che accerchiano Taiwan con minacce militari e psico-sociali. Da Taipei attese ulteriori evoluzioni nei prossimi giorni, settimane, mesi

Taipei (Taiwan) – Roma. Gli aggettivi usati nella nota diffusa dal ministero taiwanese della Difesa nazionale in merito alle esercitazioni militari cinesi, che dovrebbero durare due giorni, riassumono la linea di Taipei: le forze armate rimangono “vigili” e sono “preparate”.

Attività simili erano attese attorno a Taipei — anche a questo si legano le ultime Fonops statunitensi. La ragione è stata spiegata da Pechino, usando la retorica “con caratteristiche cinesi”: le manovre sono una “forte punizione per gli atti separatisti delle forze ‘indipendentiste di Taiwan’ e un severo avvertimento contro le interferenze e le provocazioni di forze esterne”.

Tradotto: è la risposta della Repubblica popolare cinese all’insediamento, lunedì, di William Lai quale presidente della Repubblica di Cina (Taiwan). Pechino lo considera un “pericoloso separatista” in una provincia “ribelle” che va “riunificata” (ma mai l’isola è stata governata dalla Repubblica popolare cinese), anche con l’uso della forza se necessario.

Taipei aspettava queste attività e si aspetta anche dell’altro. Durante la campagna elettorale Pechino aveva lanciato attacchi informatici e di guerra cognitiva (come la diffusione di disinformazione). Ora otto navi sono già impegnate, ma altre sette in attesa. E, quando il tempo lo permetterà, probabilmente domani, Pechino schiererà anche le forze aeree. Con buona probabilità, più aerei dei 45 impegnati la scorsa settimana. Altre operazioni di infowar sono previste, perché il campo di battaglia cognitivo non si ferma mai (propaganda e narrazione sono attivate costantemente, a maggior ragione in certi momenti significativi).

La Repubblica popolare vuole mettere un altro carico nella pressione esercitata nei confronti di Taiwan tramite le tattiche della cosiddetta “zona grigia”. Il tutto, con l’obiettivo di alimentare tensioni, e magari causare un incidente che possa essere utilizzato come pretesto per screditare il governo e la democrazia di Taiwan (o forse per un’invasione).

Le aree in cui si stanno svolgendo le esercitazioni sono sia a cavallo della linea mediana che divide lo Stretto di Taiwan (separazione il cui significato va molto oltre il confine geografico tra la Cina popolare e la democrazia taiwanese), sia all’interno delle acque amministrate da Taipei. Sono delle dimostrazioni che servono anche a mandare un messaggio: quei confini che marcano l’attuale status quo, non riconosciuti dalla Cina, sono ritenuti oggetto di potenziali cambiamenti — siano essi rotture improvvise oppure lente normalizzazione. È la strategia di costante erosione dello status quo, sia geografico (con dimostrazioni militari) sia psico-sociale (con gli effetti conseguenti e la continua infowar).

Pechino ha definito le manovre in corso “Joint Sword 2024A” e nella retorica protocollare e schematica del sistema cinese sta a significare che in futuro ci saranno nuove manovre. Il pattern è del tutto simile a quello che seguì la visita dell’allora Speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi, nell’agosto del 2022: in quell’occasione l’Esercito di liberazione popolare si era impegnato in una grande manifestazione di forza (usando anche missili balistici, che per ora non sono stati impiegati), la quale era servita anche a iniziare ad aumentare il ritmo delle attività e normalizzare ingressi non autorizzati negli spazi amministrativi taiwanesi (ormai routine).



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