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Clima e energia, il G7 non basta. Il dialogo necessario in vista della Cop29 secondo Clini

La conferma del multilateralismo come strada per affrontare la crisi climatica insieme alla sicurezza energetica non era affatto scontata. E questo è un successo italiano. Ma forse è opportuno che apra un dialogo su clima ed energia almeno con Cina, India e Brasile, Emirati e Arabia Saudita. Anche in vista della prossima Cop 29 di Baku. La riflessione di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Le difficoltà dei negoziati per la preparazione di comunicati finali condivisi al termine di riunioni internazionali su temi complessi e divisivi come i cambiamenti climatici e l’energia mi sono note per la mia lunga esperienza. Complimenti alla Presidenza Italiana del G7 che è riuscita a confezionare un documento che conferma obiettivi, strategie e linguaggio degli ultimi accordi internazionali sul clima.

La conferma del multilateralismo come strada per affrontare la crisi climatica insieme alla sicurezza energetica non era affatto scontata. E questo è un successo italiano.

Così come è di grande rilievo l’inclusione del nucleare tra le tecnologie per la decarbonizzazione: questa è una risposta nel “perimetro” delle soluzioni direttamente gestibili dal G7, e può essere una “pietra miliare” per la competitività nel mercato globale dell’energia e della decarbonizzazione.

Allo stesso modo l’obiettivo della la riduzione dell’intensità di carbonio nei cicli di produzione “hard to abate” (acciaio e chimica in particolare) considerato prioritario dal G7 apre la strada allo sviluppo di tecnologie e soluzioni tra le quali assumono grande rilievo l’idrogeno (verde e blu), la cattura e il riuso della CO2, e l’efficienza energetica.

Il “G7 Adaptation Accelerator Hub” è un’iniziativa politica ed economica che ha la potenzialità di realizzare un polo di aggregazione per affrontare la sfida più difficile dei cambiamenti climatici, la protezione delle regioni più vulnerabili del pianeta dagli eventi estremi.

Altri obiettivi e impegni del documento su Clima ed Energia sono fuori dal “perimetro”, ovvero la loro fattibilità dipende in modo molto relativo dal gruppo G7.

Per esempio l’eliminazione del carbone entro il 2035 è certamente un obiettivo di rilievo, ma rischia di avere scarsi effetti sul bilancio globale del carbone. I dati globali sull’impiego del carbone ci dicono che Cina e India oggi coprono quasi il 70% dei consumi di carbone per la produzione di elettricità,contro il 13,5% di Usa, Giappone e Germania insieme.

L’eliminazione dell’uso del carbone, necessaria per la riduzione delle emissioni globali di CO2, non potrà essere realizzata senza l’accordo di Cina e India, che sono ormai la seconda e la terza economia del pianeta ma non sono nemmeno “ospiti” del G7.

Considerazioni analoghe valgono per le fonti rinnovabili. L’impegno dei G7 a triplicare la quantità di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 vuol dire avvicinarsi nei prossimi cinque anni ai livelli attuali della Cina, che nel 2023 aveva GW di rinnovabili pari a 3 volte quelli di Usa, Germania, Canada, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Francia tutti insieme. Se poi consideriamo Brasile e India, la distanza è ancora superiore.

Ma da qui al 2030 Cina, India e Brasile non staranno ad aspettare i G7 e corrono veloci verso nuovi record: l’India vuole diventare la prima economia al mondo con la maggiore percentuale di energia da fonti rinnovabili. Senza considerare il grande attivismo degli Emirati e dell’Arabia Saudita, che stanno realizzando infrastrutture imponenti per l’impiego delle fonti rinnovabili in collaborazione con grandi imprese cinesi.

Questo vuol dire che nei prossimi 5 anni saranno decisive le disponibilità dei minerali critici e delle terre rare necessarie per le tecnologie delle fonti rinnovabili e della mobilità elettrica. Se guardiamo i dati del 2023 sulle terre rare, emerge che la Cina ha cinque volte la produzione degli Usa e quattro volte quella di Usa e Australia insieme. Non solo, l’Europa importa il 98% di terre rare dalla Cina, senza considerare gli altri materiali critici.

Il documento dei G7 sottolinea l’urgenza della diversificazione della supply chain, ovvero della riduzione della dipendenza dalle forniture dalla Cina. È comprensibile e condivisibile l’obiettivo di accrescere l’indipendenza, ma l’urgenza dello sviluppo delle fonti rinnovabili e delle auto elettriche nel prossimo quinquennio non è realisticamente compatibile con i tempi di eventuali maggiori estrazioni e lavorazioni di minerali critici e terre rare da parte delle imprese dei paesi del G7.

Ovvero, in che modo il G7 può triplicare le fonti rinnovabili “a prescindere” dal contesto internazionale di forniture e sviluppo di tecnologie innovative per la raffinazione e l’impiego di materie prime? Questi sono i “buchi neri” della strategia del G7 su clima ed energia.

Secondo un recente rapporto di Institute for Energy Economies and Financial Analysis (IEEFA) gli impianti programmati per lo stoccaggio di LNG nel 2030 saranno superiori di oltre il 76% alla domanda prevista di gas in Europa se le fonti rinnovabili venissero triplicate. Ma se questo non avvenisse, ecco pronto LNG da Usa e Qatar, con tanti saluti all’impegno per la riduzione delle emissioni di metano. Di questo il G7 non ha parlato.

Forse è opportuno che il G7 apra un dialogo su clima ed energia almeno con Cina, India e Brasile, Emirati e Arabia Saudita. Anche in vista della prossima Cop29 di Baku.

Sarebbe auspicabile che, visto da New Delhi, Pechino, Brasilia, Dubai, Riad, il G7 non fosse percepito come un gruppo minoritario che cerca di dare le regole alla grande maggioranza delle economie del pianeta.



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