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Con e-commerce e videogiochi la propaganda cinese viaggia online

Nonostante i rischi percepiti per sé, il Partito comunista cinese sta utilizzando le nuove tecnologie “per promuovere una prospettiva favorevole della verità e della realtà, a sostegno della narrazione ufficiale” che cerca di proiettare all’estero. È quanto si legge in un rapporto dell’Australian Strategic Policy Institute

Le nuove tecnologie, come e-commerce, realtà virtuale e videogiochi, possono essere potenzialmente pericolose per gli interessi del Partito comunista cinese. Che, tuttavia, le considera un “un mezzo per promuovere una prospettiva favorevole della verità e della realtà, a sostegno della narrazione ufficiale” che cerca di proiettare. È quanto scrive il think tank Australian Strategic Policy Institute in un rapporto diffuso nei giorni scorsi dal titolo “Truth and reality with Chinese characteristics”. Tutto ciò, si legge ancora, “è particolarmente vero in relazione alla capacità del Partito comunista cinese di condurre campagne informative e di plasmare gli standard informativi globali e le tecnologie fondamentali”.

Il think tank ha evidenziato come tra le imprese e i progetti di esportazione culturale chiave del Partito comunista (sia nella versione 2021-22 sia in quella 2022-2023) ci siano decine di società di app, tra cui videogiochi, che ricevono il sostegno dello Stato, compresi i sussidi, “in modo da poter continuare a godere del successo globale e contribuire a portare avanti la missione di potenziamento del soft power culturale della Cina”. Nell’e-commerce, per esempio, aziende come Temu – che nel 2023 è stata l’applicazione gratuita per iPhone più scaricata negli Stati Uniti – raccolgono anche “grandi quantità di dati che potrebbero essere condivisi con il sistema di propaganda della Repubblica popolare cinese”. Gli sviluppatori di videogiochi popolari, come Genshin Impact, “ricevono il sostegno” della propaganda cinese e “pongono rischi per la sicurezza simili a causa del valore strategico dei dati degli utenti che generano e raccolgono”.

Questo perché, continuano gli esperti, sotto la leadership di Xi Jinping, il Partito comunista cinese “ha rinnovato l’enfasi su una strategia nazionale di convergenza dei media che riunisce i media tradizionali e quelli ‘emergenti’ attraverso varie dimensioni” al fine di rafforzare la risposta della propaganda ai rapidi mutamento dell’opinione pubblica.

Tra i consigli forniti dal think tank ai governi c’è l’attenzione alla regolamentazione e al dialogo con le piattaforme ma anche, al fine di rafforzare la trasparenza, la definizione di un quadro più chiaro per attori ed entità tenuti a iscriversi nei registri degli “agenti stranieri”. Certo, bisognerebbe avere questi registri. L’Italia, per esempio, ne discute da tempo ma ancora non ha fatto passi in questa direzione.



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