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Le sedicente democrazia a senso unico, déjà vu già contro i democristiani. Scrive Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Il problema non sta, forse, nel ritorno ad una resistenza ad accettare la democrazia senza riserve, più semplice per i cattolici considerando le radici cristiane della stessa, senza le quali sarebbe un’altra cosa a senso unico? Il commento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

Un articolo di Ernesto Galli della Loggia apparso il 25 maggio sul Corriere della Sera affronta un argomento che è bene non lasciar cadere e soprattutto che dovrebbe suscitare un ampio dibattito se non coinvolgesse la stessa narrazione del giornalismo politico italiano: già il titolo è indicativo “La democrazia a senso unico. Cresce la pretesa di negare legittimità alle idee diverse da quelle di sinistra”. Insomma ci troviamo sul terreno della riflessione che prova a non adeguarsi al mainstram che, nelle dinamiche democratiche, di solito si trova in rotta di collisione con ciò di cui alla fine in realtà diffida profondamente, ossia il popolo.

Lo storico ed editorialista prende le mosse da un libro di recente pubblicazione: “La guerra civile italiana a bassa intensità che ha per oggetto il fascismo e l’antifascismo non finirà mai finchè non sarà possibile mettersi d’accordo su un paio di cose fondamentali tipo cosa sia la democrazia e che cosa una Costituzione democratica. Non finirà finchè due autori come Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati – che pure nei loro rispettivi campi di studio occupano un posto significativo – scriveranno un libro come questo Democrazia afascista (Feltrinelli) nel cui retro di copertina si legge ‘nell’anno III del governo Meloni’, che come si capisce è già tutto un programma… Non basta dunque che essa proclami l’uguaglianza dei diritti politici e civili e per il resto si presenti come un regimo ‘neutro’, ‘avaloriale’. Deve scendere sul terreno dei programmi sociali. Proprio per questo la nostra Costituzione… il suo carattere democratico risiede proprio in ciò, nel suo essere programmaticamente valoriale e nell’esserlo ovviamente in una certa direzione – che, come si legge in un altro passo – non può che essere quella socialista o socialdemocratica”.

Il professor Flavio Felice in un suo pezzo su tale articolo, sul sito del Centro Studi e Ricerche Toqueville-Acton, ha giustamente riflettuto sulla questione della legittimità delle idee politiche non conformi al paradigma socialista, socialdemocratico o progressista: la legittimità democratica sarebbe legata a tale conformità per rispettare il carattere antifascista repubblicano, portando a dover ammettere, se fosse così, “che la Costituzione italiana non presenta i caratteri del costituzionalismo liberale”. Come non condividere l’assurdità di tale posizione che porta ad un sistema italiano fatto da uno schieramento costituzionale ed uno anticostituzionale con tutto ciò che ne consegue? Rimandando alla riflessione ultima citata per la sua puntualità, viene da riprendere Galli Della Loggia per sviluppare alcuni altri punti.

Il primo è la vecchia lente dell’appartenenza ideologica utilizzata dalla sinistra per una sorta di divisione tra buoni e cattivi, con i primi che devono sempre avere un aggettivo non riuscendo più a riconsoscere l’essere umano sic et simpliciter nella sua natuale essenza e nella quotidianità della vita. Tale aggettivo dovrebbe omologare tutti piegando tutto al suo servizio rappresentando la novella declinazione della novecentesca solidarietà di classe. Quale sarebbe tale aggettivo utilizzato alternativamente come mantra o come ossessione? È quello di antifascista: ma questo ha una storia che porta al secondo punto che parte dal ricordare che i comunisti iniziano verso gli anni sessanta ad usare l’accusa di fascismo e clerico-fascismo contro i democristiani, volendoli delegittimare paragonandoli ai post fascisti dell’Msi, da intendersi anche come oscurantisti, conservatori, integralisti, che avevano il favore della maggioranza relativa degli italiani e dunque che governavano, che, dopo la partecipazione ampia e riconosciuta alla guerra di Liberazione (vedasi la relazione del capo partigiano democristiano Enrico Mattei) e il contributo fondamentale nella redazione della Carta Costituzionale, il 18 aprile 1948, con la vittoria elettorale contro il Fronte, composto da Pci e Psi, completa la Resistenza attraverso il metodo democratico delle elezioni applicando il principio proporzionale.

Cosa era capitato? I vertici del Pci avevano adottato una strategia nella condizione data, essendoci, per la politica internazionale la conventio ad escludendum rispetto ad una loro partecipazione al governo. Ora la descrizione di una democrazia a senso unico cozza totalmente con il pensiero politico popolare e democratico cristiano radicato nella Dottrina Sociale della Chiesa come può ben comprendersi rileggendo Aldo Moro: “Non possiamo fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perchè questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria e ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”.

Moro è chiaro, c’è una conseguenza all’antifascismo, alla lotta alle ideologie disumane, che non è la trasformazione della Costituzione in idolo, su cui convergono ad esempio i tardo dossettiani (andando oltre Dossetti), giustificando così anche i pilastri claudicanti della fallimentare seconda repubblica come bipolarismo imposto proprio su quel senso unico indicato, leggi elettorali che rimaneggiano la volontà popolare e le alleanze che diventano dogmi e producono la demagogia come novella ritualità, ma è l’accettazione integrale della democrazia che lo porterà a rispondere con estrema chiarezza alla strategia comunista, che si sta riproducendo nel presente e ad un’impostazione ideologica: “Il nostro anticomunismo non è un tortuoso e inefficace anticomunismo di tipo conservatore… è stato da sempre, il nostro, un anticomunismo democratico, che nasce dall’accettazione senza riserve della democrazia, si avvale delle armi della democrazia, ha di mira non una repressione, con la forza, di masse inquiete, ma la restaurazione di una ordinata società democratica. Siamo per questo insensibili ai generici richiami dell’antifascismo, alla richiesta comunista di una sorta di solidarietà in nome dell’antifascismo”. Il problema, dunque, non sta, forse, nel ritorno ad una resistenza ad accettare la democrazia senza riserve, più semplice per i cattolici considerando le radici cristiane della stessa, senza le quali sarebbe un’altra cosa a senso unico?

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