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L’Italia e la difesa cyber, tra ritardi e passi avanti. Il rapporto del generale Portolano

Operare militarmente nel dominio cibernetico non è un’opzione, ed è necessario sviluppare capacità militari, produttive e tecnologiche. Italia ed Europa sono in ritardo, ma fanno passi avanti. A lanciare l’allarme il segretario generale della Difesa, generale Luciano Portolano, in audizione alla Camera

Guerra cibernetica e integrata, rischi per la società, sviluppo tecnologico-industriale e il ruolo dell’Ue. Questi i temi principali affrontati dal Segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Portolano, in audizione di fronte alla IV Commissione Difesa della Camera dei deputati, convocata in merito all’indagine conoscitiva sulla “Difesa cibernetica: nuovi profili e criticità”. Lo spazio cibernetico è divenuto il quinto dominio, cioè una parte integrante del campo di battaglia, “uno spazio nel quale si compiono azioni critiche per il raggiungimento della missione” ha detto il generale Portolano. Pertanto, vi è una pressante “esigenza di disporre di un’unica forza militare realmente integrata ed interconnessa in tutti i domini” e di passare alle “all domain operations, che ampliano il concetto di joint operations o operazioni interforze”. 

Se il cyber è onnipresente, non è da meno la sfera elettromagnetica, di cui il cyber fa parte. In particolare, non si tratta solo di operare in questi domini per ottenere vantaggi, non farlo equivarrebbe ad esporre le nostre Forze a seri rischi: “Quasi tutti i dispositivi utilizzati da piattaforme e sistemi d’arma funzionano attraverso lo spettro elettromagnetico e questo comporta la necessità di considerare due componenti della minaccia: quella cyber e quella di guerra elettronica, la cui unione è denominata Cema, ovvero cyber electro-magnetic activities”.

Il rischio, però, non è limitato ai militari: “In una società sempre più digitalizzata, la difesa cibernetica rappresenta una priorità per la sicurezza nazionale, che va affrontata assicurando uno sforzo congiunto tra tutti gli attori coinvolti, in campo civile e militare. Questo perché lo spazio cibernetico agisce incurante dei perimetri di competenza, fondendo, in un unico ambiente virtuale, la sfera militare con quella civile, sia pubblica che privata”. Ampliare la visuale per comprendere sia il civile che il militare nella difesa cibernetica è fondamentale pure perché, come ogni altro settore della nostra sicurezza, occorre disporre di infrastrutture ed asset per poter essere efficaci. A livello industriale, “Paesi come l’Italia si sono concentrati su capacità industriali di integrazione dei sistemi, rinunciando, in buona parte, alla capacità di produzione hardware”. Pertanto, “Italia e Ue devono recuperare il ritardo”, in particolare sulla produzione di semiconduttori. 

A livello nazionale, un contributo fondamentale lo dà la Direzione nazionale degli armamenti (Dna) “che ha la responsabilità istituzionale sulla ricerca e l’innovazione tecnologica, sulla politica degli armamenti e le attività di procurement e sul supporto alla politica industriale della Difesa e la cooperazione internazionale”. Tramite iniziative come il Piano di innovazione tecnologica della difesa (che il generale ha annunciato essere di prossima definizione) o programmi come il Piano nazionale della ricerca militare (Pnrm) il ministero della Difesa può “orientare la ricerca in quelle aree in cui siamo consapevoli di soffrire un potenziale gap rispetto alla velocità dello sviluppo tecnologico. Per questo motivo, grande attenzione viene destinata alla ricerca nei settori dell’Intelligenza artificiale, delle tecnologie spaziali e della cyber defence”. È positivo che “negli ultimi anni i progetti di ricerca in campo cyber hanno fornito risultati estremamente interessanti, come ad esempio lo sviluppo di tecnologie in grado di migliorare le prestazioni dei dispositivi crittografici utilizzando la tecnologia quantistica” – tra questi progetti figurano Qucryptnet, Cryptobox e Agger. 

A livello europeo, il generale Portolano ha evidenziato l’importanza dell’European defence fund (Edf): “Da un lato, i costi ‘non ricorrenti’ relativi alla ricerca e allo sviluppo vengono finanziati dall’Unione europea, nella misura del 100% per la ricerca e fino all’80% per lo sviluppo. Dall’altro, il meccanismo stimola la creazione di consorzi industriali multinazionali, che consentono di incrementare il know-how e in cui possono essere valorizzate le eccellenze nazionali”. Come sottolineato dallo stesso generale, in progetti avanzati nelle sfere cyber e IA (Aida, Ecysap 2, Fact, Eucinf) aziende e atenei italiani si sono aggiudicati quasi il 25% del totale dei fondi europei. 

Agire in queste direzioni è importante per due motivi: “Il primo, è dato dal progressivo arricchimento della conoscenza tecnologica delle nostre industrie, atenei e centri di ricerca. Il secondo, per noi fondamentale, sta nella potenziale evoluzione dei progetti di ricerca in programmi di sviluppo di sistemi e apparati a favore delle forze armate, che a volte si rivelano utili anche per la società civile”.

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