La diplomazia di Modi sulla scena globale è riuscita a dare il massimo all’aspirazione dell’India di svolgere un ruolo internazionale più ampio e, di conseguenza, la politica estera indiana è riuscita a sfruttare al meglio questo punto di svolta negli affari mondiali. L’analisi di Harsh V. Pant, professore di Relazioni internazionali presso il King’s College di Londra
In politica un giorno può essere un periodo lungo, ma in politica estera anche un decennio spesso non è considerato abbastanza lungo da meritare una seria valutazione. Ma la scala e la portata del cambiamento nella politica globale sono state fenomenali nell’ultimo decennio.
Il sistema internazionale si è trasformato in un momento in cui anche la politica indiana ha subito uno spostamento tettonico. È inevitabile che questa giustapposizione produca alcuni cambiamenti fondamentali nella politica estera indiana. Ma anche l’impegno personale del primo ministro Narendra Modi nel campo delle relazioni esterne ha dato all’India un posto unico negli affari internazionali contemporanei.
Quando Modi salì al potere nel 2014 fu dipinto dai suoi nemici come un politico provinciale, senza alcun impegno adeguato in politica estera. Anche le sue credenziali di “nazionalista indù” erano considerate un ostacolo che avrebbe limitato l’apertura dell’India al mondo islamico. Ma Modi è riuscito a tenere sulle spine sia i suoi detrattori che i suoi sostenitori, seguendo una politica estera pragmatica e mantenendo al centro il mantra “India first”.
L’emergere dell’India come fulcro del discorso politico globale contemporaneo ha molto a che fare con i cambiamenti strutturali che modellano l’ordine internazionale. Il cambiamento degli equilibri di potere e la crescente disillusione nei confronti della Cina in occidente stanno focalizzando l’attenzione del mondo sulla storia dell’India, dove l’India è emersa come la grande economia in più rapida crescita nel mondo.
La diplomazia di Modi sulla scena globale è riuscita a dare il massimo all’aspirazione dell’India di svolgere un ruolo internazionale più ampio e, di conseguenza, la politica estera indiana è riuscita a sfruttare al meglio questo punto di svolta negli affari mondiali. Nell’ultimo decennio, l’immagine dell’India di perenne oppositore della politica globale è cambiata in quella di una nazione più che disposta a contribuire alla governance globale.
Un decennio di Modi è riuscito a porre fine al divario artificiale tra il Paese e l’estero. La priorità-chiave dell’India rimane lo sviluppo interno, e anche la diplomazia indiana è orientata a sfruttare le aspirazioni di sviluppo del Paese. Ciò ha portato a un pragmatismo intrinseco nella politica estera di Nuova Delhi, dove i partenariati sono diventati fondamentali e dove invece dell’ideologia, sono i bisogni indiani a determinare i contorni di questi impegni.
Dalla costruzione di solidi legami con l’occidente al sostegno di un’importante partnership con la Russia attraverso il difficile terreno della crisi ucraina, l’India è riuscita a isolare il suo impegno globale dalle turbolenze del terreno circostante. La politica di vicinato di Modi ha cercato di promuovere la stabilità e la prosperità regionale, riconoscendo l’importanza di un’area sicura per lo sviluppo e la sicurezza complessivi dell’India.
Il focus della politica di Nuova Delhi nell’Asia meridionale si è spostato dalla fissazione con il Pakistan alla più produttiva geografia marittima del golfo del Bengala, che si presta a una connessione più organica tra il sud e il sud-est asiatico.
Questa permanente separazione tra India e Pakistan è forse il risultato più importante dell’ultimo decennio, che ha consentito a Nuova Delhi di concentrarsi sulla vera sfida strategica: la Cina. Modi ha iniziato rivolgendosi alla Cina per continuare a gestire la sua ascesa attraverso l’impegno diplomatico.
Ma Pechino aveva altri piani. La posizione dell’India dopo la crisi della valle di Galwan del 2020, secondo cui le relazioni sino-indiane non possono essere normali a meno che la situazione al confine non diventi normale, è audace, ma non si può tornare indietro. La crescente impronta dell’India nell’Asia orientale e sud-orientale e la sua inclinazione a modellare i contorni strategici del più ampio Indo-Pacifico sottolineano una nuova realtà: Nuova Delhi non si farà problemi a cercare un maggiore ruolo regionale e globale per sé.
Unica potenza globale a sfidare la Belt and road initiative di Xi Jinping già nel 2014, l’India ha risposto all’aggressione militare cinese con una forte reazione militare, ha cercato di collaborare con gli Stati Uniti senza entrare nel pieno abbraccio di un’alleanza e ha coinvolto il mondo occidentale per sviluppare capacità interne: in tutto questo l’India è stata pragmatica fino in fondo e disposta a utilizzare l’equilibrio di potere esistente a proprio vantaggio.
Il mondo, spesso abituato a un’India che pontifica del passato, oggi sente sulla scena globale una voce indiana capace di articolare la narrazione di uno stakeholder responsabile che, nonostante sia fermamente radicato nella propria etica, non è disposto a sottrarsi agli impegni internazionali. L’India è desiderosa di fornire soluzioni ai problemi globali e in un momento di mancanza di leadership, quella di Modi sul fronte internazionale ha lasciato il segno e la presidenza indiana del G20 è solo l’esempio più recente.
Questo è un momento difficile per la politica globale e Modi ha dato all’India una voce unica e speciale. Più di ogni altra grande potenza odierna, gli indiani vedono il loro futuro in termini di aspirazioni e ciò sta plasmando i loro impegni interni ed esteri. La leadership di Modi è riuscita a sfruttare in modo efficace questo sentimento. Ma dopo un decennio al potere, Modi è riuscito anche a plasmare questa aspirazione a propria immagine. E questa è davvero un’eredità formidabile.
Analisi pubblicata su Formiche 201