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Così Usa e Italia si coordinano sull’Indo Pacifico

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

Incontro a Washington tra Italia e Usa per parlare di Indo Pacifico. Roma guida il G7 e il communiqué congiunto dopo la riunione di Borgo Egnazia avrà un valore per la postura del Gruppo sulla regione

Taipei (Taiwan)-Roma. Una delegazione della Farnesina, guidata dal segretario generale, l’ambasciatore Riccardo Guariglia, ha incontrato martedì un team di funzionari americani composto da diplomatici e figure di Pentagono e Consiglio di sicurezza nazionale, guidata dal vicesegretario Kurt Campbell, numero due della diplomazia statunitense. Al centro dello scambio, svoltosi meno di un mese prima del summit dei leader G7 di metà giugno in Puglia sotto presidenza italiana, l’Indo Pacifico.

In particolare, spiega una nota del dipartimento di Stato americano, “le priorità comuni nella regione per sostenere un Indo Pacifico libero e aperto, tra cui il mantenimento della pace e della stabilità nel Mar cinese meridionale e nello Stretto di Taiwan”. Ma non solo. Le due delegazioni si sono confrontate anche su come “convincere la Repubblica popolare cinese a cessare le spedizioni di beni dual use alla Russia per utilizzarli nella sua guerra contro l’Ucraina” — con le intelligence anglosassoni che parlano anche di” inviati da Pechino a Mosca — ma anche sugli “sforzi congiunti per risolvere l’aggravarsi della crisi in Myanmar”, sulla cooperazione marittima e di sicurezza nell’Indo Pacifico, sulle iniziative regionali per l’energia pulita e sul cambiamento climatico. Campbell è un super esperto della regione, per cui è stato anche inviato speciale dell’amministrazione Biden (e tra l’altro la sua nomina a vice di Antony Blinken ha significato anche una ulteriore valorizzazione del macro-dossier nell’apparato statunitense).

L’incontro ha rappresentato anche l’occasione per un punto sulla presidenza italiana e le altre priorità in agenda: la crisi in Israele e Gaza, la guerra in Ucraina e gli strumenti per far pesare alla Russia le sue responsabilità (la questione degli asset sarà affrontata anche al G7 Finanze che inizia domani a Stresa), la sicurezza in Nord Africa.

Per il governo italiano presieduto da Giorgia Meloni il momento è particolare. Un mese dopo il G7 la presidente del Consiglio volerà a Pechino per il primo incontro con il leader cinese Xi Jinping dopo il mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Via della Seta.

Anche se non è passato inosservato il silenzio del governo italiano in occasione dell’insediamento a Taiwan del presidente William Lai (né a Taipei né a Washington) rimane però il fatto che la dichiarazione della ministeriale G7 Esteri di Capri sia stata particolarmente apprezzata nei passaggi sull’Indo Pacifico. Da Washington, da Tokyo, che ha ceduto il testimone della presidenza del forum a Roma, e da Taipei — anche grazie ad attività di diplomazia parlamentare come quella raccontata dal vice presidente del Senato Gianmarco Centinaio.

Quel documento è la base di partenza per la dichiarazione finale in Puglia (il cosiddetto “Communiqué”). Nel ricordare che la regione è “un motore chiave per la crescita globale, con oltre la metà della popolazione mondiale”, i sette ministri avevano ribadito, a nome dei Paesi che rappresentano, “l’impegno a favore di un Indo Pacifico libero e aperto, basato sullo Stato di diritto, inclusivo, prospero e sicuro, fondato sul rispetto del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e dei principi di integrità territoriale, sovranità, risoluzione pacifica delle controversie, libertà fondamentali e diritti umani”. Si tratta, come analizzato, di un appello chiaro e diretto alle tensioni in corso, quasi totalmente mosse dalle rivendicazioni di Pechino – che siano esse specifiche come quelle su Taiwan o sul Mar Cinese, o più ampiamente legate alle ambizioni di ascesa e crescita di influenza/ingerenza in una regione considerata un cortile dalla Repubblica popolare.

L’incontro di Washington, in ottica G7, conferma una percezione ormai diffusa a proposito dell’Italia, vista come un attore di fatto attivo nelle dinamiche regionali. Si tratta di un’attività consolidata nel tempo, attraverso varie forme di rapporti — innanzitutto culturali e commerciali — con le comunità indo-pacifiche, la costruzione di partnership strategiche (come quelle con India, Giappone o Vietnam), e che attualmente passa anche da attività più esplicitamente geostrategiche. Per esempio, l’Italia sta diventando parte del cosiddetto “security enviroment” dell’Indo Pacifico, regione in cui la sicurezza è un tema dominante.

Sia attraverso collaborazione nell’ambito del settore industriale della difesa, sia tramite una presenza fisica di assetti e personale italiano, Roma sta contribuendo alla protezione dell’area secondo le regole del diritto internazionale e con l’obiettivo di evitare attività egemoniche o di coercizione. Dalla naval diplomacy di Nave Morosini alla partecipazione alle esercitazioni come l’importantissima “Rimpac” di Nave Montecuccoli, fino al dispiegamento strategico prossimo della portaerei Nave Cavour col suo gruppo da battaglia, passando dalla guida italiana delle forze messe in mare dall’Ue con “Aspides” per proteggere le rotte indo-mediterranee che collegano Europa e Asia. L’Italia nell’Indo Pacifico c’è; e la riunione con Campbell è una testimonianza.

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