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La stanca ed ossessiva narrazione della Schlein fa male al Pd (e a se stessa). Scrive Merlo

Se vogliamo rafforzare la qualità della democrazia e la credibilità della politica, forse è anche giunto il momento affinché la leader del principale partito della sinistra italiana cambi registro. Ecco perché

Elly Schlein sta guidando il principale partito della sinistra italiana dal marzo del 2023. E in questo lasso di tempo ha impresso una indubbia sterzata politica al partito che dirige. Da storico partito di centro sinistra che univa, seppur con molte difficoltà e contraddizioni, l’esperienza del Pci con quella della sinistra democristiana e altri mondi culturali, è diventato progressivamente con il nuovo corso politico un “partito radicale di massa”. O meglio, un partito espressione di una sinistra massimalista, radicale e libertaria.

Un partito che, al contempo, ha riscoperto anche alcuni tasselli fondamentali della vecchia ed antica esperienza del Pci. Non a caso suggellata, e giustamente, con il riferimento all’indimenticabile leader del Pci Enrico Berlinguer nella tessera del Pd del 2024. E, nello specifico, dal rapporto con il sindacato di riferimento, la Cgil, riproponendo la storica “cinghia di trasmissione” con il partito al cavalcare qualsiasi istinto di opposizione che sale dalla società civile; dalla ripetuta denuncia della “svolta illiberale” alla riproposizione della “superiorità morale” di comunista memoria.

Con la naturale conseguenza che l’avversario/nemico non può che essere politicamente e moralmente contestato e criminalizzato in modo permanente. Ed è proprio su questo versante che non possiamo non registrare un ritardo culturale ed un deficit politico che riporta il principale partito della sinistra italiana ad una stagione che, francamente, pensavamo fosse ormai alle nostre spalle. E cioè, un partito di sola opposizione, anche violenta a livello verbale, dove l’unico cemento ideologico unificante della comunità politica è una sorta di odio implacabile nei confronti del nemico irriducibile. Ascoltare le dichiarazioni quotidiane della segretaria del Pd è diventato quasi un disco rotto.

Non c’è argomento, non c’è tema, non c’è approfondimento, non c’è un solo aspetto politico che non contenga un attacco violento e oltremisura nei confronti di Giorgia Meloni e della destra. Ora, intendiamoci. È del tutto naturale che in un’epoca caratterizzata da una profonda e consolidata radicalizzazione della politica l’avversario, che nel frattempo è diventato un nemico dichiarato, va bersagliato massicciamente e senza alcun ritegno morale o limite culturale. Ma anche su questo versante ci dev’essere un limite, pena la trasformazione del proprio progetto politico in una litania sempre più noiosa ed insopportabile nonché controproducente.

E questo perché non si può tutti i giorni, ripeto, tutti i giorni, denunciare “la svolta illiberale”, “il restringimento delle libertà”, la negazione della libertà di espressione, “il ritorno di un regime dispotico”, il potenziale “ritorno di una dittatura”, “la violazione palese dei principi costituzionali”, “il trionfo della censura”, “la sospensione della democrazia” e, dulcis in fundo, la solita ed ormai noiosissima “deriva fascista”. Il tutto condito da attacchi personali ripetuti, insistenti, ossessivi e francamente sempre più stucchevoli e anche noiosi contro la presidente del Consiglio rea di riportare le lancette politiche del nostro paese indietro di circa 80 anni.

Ora, che tutto ciò venga ripetuto quotidianamente dalla Gruber nel suo talk e settimanalmente dai Formigli, Floris e Bianchi di turno rientra nella normalità quasi fisiologica di un circo mediatico a sostegno di questa sinistra. Ma il leader politico di un partito, e quindi di un campo politico più vasto, non può limitarsi a ripetere questo rosario laico tutti i giorni e a tutte le ore. Anche perché, così facendo, si indebolisce lo stesso profilo, e anche la credibilità, del progetto politico e di governo alternativo al centro destra.

Perché, in larghissimo anticipo, è già sempre scontata la diagnosi e la denuncia. Ovvero, tutto ciò che capita è figlio e conseguenza della “svolta illiberale”, della “negazione delle libertà”, del “rischio fascismo”, della “sospensione della democrazia” e via scioccheggiando. Ora, se vogliamo rafforzare la qualità della democrazia e la credibilità della politica, forse è anche giunto il momento affinché la leader del principale partito della sinistra italiana cambi registro. Anche perché, e senza essere scortesi o maleducati e sempre in chiave costruttiva, il rischio della “dittatura” e della “svolta illiberale” esistono solo nella testa della Schlein e del circo mediatico, nonché milionario e alto borghese, che la sostiene e la appoggia in modo compatto e quasi militare. Ma la concreta realtà, come forse sanno anche i dirigenti ex e post comunisti, è tutt’altra. E per un politico non c’è cosa peggiore di continuare a confondere i propri desideri con ciò che capita quotidianamente nella società che ci circonda.


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