Lo spettro del conflitto nucleare sembrerebbe essere un pilastro della strategia russa in Ucraina. Il fine delle esercitazioni potrebbe essere collegato alla nuova maxi-offensiva delle truppe del Cremlino. L’analisi di Danilo Secci, responsabile dell’Osservatorio difesa e sicurezza dell’Istituto Gino Germani ed esperto di politica nucleare russa
Lunedì mattina l’agenzia di stampa russa Tass ha riportato l’annuncio di Sergej Shoigu, ministro russo della Difesa, di imminenti esercitazioni delle forze dotate di armi nucleari tattiche. Le manovre sembrerebbero interessare il Distretto militare meridionale (confinante con l’Ucraina sud-orientale), con il coinvolgimento di assetti missilistici, aerei e navali. Shoigu avrebbe riferito che le esercitazioni sono la risposta alle dichiarazioni provocatorie di alcuni politici occidentali, senza però indicare, di preciso, quali. Ha rimosso ogni dubbio Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, che ha chiarito che le affermazioni contestate da Mosca sarebbero quelle di Emmanuel Macron, presidente francese, e David Cameron, ministro degli Esteri britannico: il primo ha ribadito di non poter escludere l’invio di soldati francesi in Ucraina; il secondo ha sostenuto che le forze armate ucraine saranno libere di impiegare gli armamenti forniti da Londra anche per colpire obiettivi militari all’interno della Russia.
L’approccio comunicativo russo è simile a quello dell’anno scorso, quando, nel mese di marzo, Vladimir Putin annunciò lo schieramento di dispositivi armati con testate atomiche tattiche in Bielorussia. In quell’occasione, il leader russo sostenne che la mossa era una contromisura all’iniziativa britannica di fornire munizionamento all’uranio impoverito alle forze armate ucraine. Ancor prima, il 27 febbraio 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina, il presidente russo dichiarò uno stato di allerta speciale delle forze di deterrenza nucleare: anche in quel caso, Putin denunciò iniziative occidentali (dichiarazioni di condanna dell’aggressione in corso e adozione delle prime sanzioni economiche a essa collegate) dal peso politico e militare decisamente inferiore rispetto a quello delle successive contromosse di Mosca.
Lo spettro del conflitto nucleare sembrerebbe essere un pilastro della strategia russa in Ucraina, secondo un modello che vede una continua e graduale escalation del cui avvio e sviluppo – secondo una comunicazione istituzionale artatamente manipolata e distorta – è responsabile non tanto il Cremlino quanto, piuttosto, l’Occidente.
L’annuncio delle esercitazioni russe cade nella settimana in cui Putin ha inaugurato il suo quinto mandato presidenziale e sono ricorse le celebrazioni per la Giornata della Vittoria. L’arsenale nucleare rappresenta la più importante eredità da superpotenza che l’Unione Sovietica ha lasciato alla Federazione Russa: sventolare la bandiera atomica rafforza l’animo e l’orgoglio russo, ancor più in una settimana dall’altissimo valore emotivo e patriottico. Ma le manovre avvengono anche in un periodo dove si rincorrono le voci di una nuova e imminente maxi-offensiva delle truppe del Cremlino. Quest’ultima non dovrebbe interessare le quattro regioni dell’Ucraina continentale, già sotto parziale occupazione russa (Lugansk, Donetsk, Zaporizhia e Kherson), ma un’altra (Kharkiv, probabilmente).
Il fine ultimo delle esercitazioni potrebbe proprio essere legato a questo nuovo assalto russo: innalzare il livello di prontezza operativa delle forze nucleari tattiche e simulare attacchi nello scenario della guerra in Ucraina, con l’obiettivo di dissuadere qualsiasi appoggio logistico – o coinvolgimento militare diretto – dell’Occidente in difesa di Kyiv. Così facendo, in un contesto di grandi difficoltà delle forze ucraine nel contenere la spinta dei soldati del Cremlino nel Donbass, le probabilità di successo di un ulteriore manovra russa in Ucraina potrebbero aumentare considerevolmente.
In queste circostanze, sembrano necessarie alcune importanti riflessioni di natura strategico-metodologica. Anzitutto, ogniqualvolta si avrà l’intenzione di esprimere dichiarazioni pubbliche di impegno a favore dell’Ucraina (nuovi pacchetti di aiuti militari; nulla-osta su modalità di impiego degli armamenti e scelta degli obiettivi; coinvolgimento diretto di truppe di singoli Paesi occidentali) potrà essere opportuno misurare attentamente toni e parole espresse. Come visto, la propaganda del Cremlino è abilissima nel trasformare intenzioni o ipotesi di (maggior) impegno occidentale in pretesti che mirano a giustificare contromosse russe capaci persino, come in questo caso, di alterare l’equilibrio di deterrenza atomica in Europa.
È necessario privare Mosca di qualsiasi occasione per accusare pubblicamente l’Occidente di indurre la Federazione Russa a ricorrere all’escalation nucleare. Questo lo si può fare soppesando termini e intenzioni espresse, con la consapevolezza che gli strateghi della propaganda e disinformazione russa sono sempre in agguato: ciò non sarà sufficiente a vanificare del tutto gli sforzi del loro lavoro di manipolazione di informazioni e percezioni, ma – quantomeno – lo renderà più difficile.
Per quel che riguarda, invece, gli equilibri sul piano dello scontro fisico-militare, occorre anzitutto riconoscere che, a prescindere dalle false accuse di responsabilità dell’Occidente, un’escalation sul piano nucleare è comunque in corso. Lo schieramento di missili e aerei con testate nucleari in Bielorussia e le attuali esercitazioni che simulano l’impiego di atomiche nel contesto del conflitto in Ucraina sono fatti, non intenzioni. Non appare opportuno, pertanto, sminuire la portata di queste azioni sostenendo che la Russia non avrebbe bisogno delle basi in Bielorussia per lanciare armi nucleari in Europa o che, alle condizioni attuali, la dottrina russa non prevederebbe l’impiego di questi ordigni. Le armi nucleari tattiche sono dispositivi che vengono installati, perlopiù, su vettori (missili, aerei, proiettili d’artiglieria) a corta e media gittata. La loro presenza in Bielorussia ne aumenta il raggio d’azione, estendendolo non solo all’Ucraina ma anche ai Paesi Nato confinanti, sui quali sono presenti importanti hub logistici e centri di comando, controllo, comunicazione e intelligence (C3I) che forniscono supporto alle truppe di Kyiv. La pressione politica e militare dello spauracchio atomico russo non viene pertanto esercitata sulla sola Ucraina, ma nei confronti della stessa Alleanza Atlantica.
Quanto alla dottrina russa, riprendendo il testo sui Principi fondamentali della deterrenza nucleare, alla lettera d, articolo 19, Sezione III (Condizioni di impiego delle armi nucleari), si cita il caso di un attacco convenzionale che possa mettere a rischio l’esistenza della Federazione Russa. Non ci sarebbe di che preoccuparsi se per “Federazione Russa” si intendesse il territorio compreso nei confini internazionalmente riconosciuti della Russia. Ma se il Cremlino decidesse di dare un’interpretazione politico-giuridica più estensiva del concetto di territorio nazionale, comprendente anche i territori ucraini sotto occupazione (considerati russi per via del cosiddetto “Referendum sull’annessione” del settembre 2022), allora il discorso cambia. In quest’ultimo caso, infatti, l’azione di supporto a difesa di Kyiv sarebbe inevitabilmente condizionata dalla costante presenza di una spada di Damocle atomica sulla testa dei decisori politici e comandanti militari ucraini e della Nato.
Per non farsi influenzare dai tentativi di ricatto nucleare russo, sarebbe opportuno rispondere con misure difensive che possano continuare a garantire la libertà di decidere e agire in difesa dell’Ucraina. Un’opzione potrebbe essere quella di ribattere in maniera speculare a Mosca, con estensione degli accordi di condivisione degli assetti nucleari Nato (nuclear sharing) ad altri Paesi dell’Alleanza (in primis, Polonia e Romania) e/o aumento della prontezza operativa dei dispositivi con testate tattiche già presenti in Europa. Ma, vista l’abilità di Mosca nell’agitare lo spauracchio atomico, al fine di privare il Cremlino di qualsiasi ulteriore pretesto per continuare a cavalcare l’onda dell’escalation nucleare, sembrerebbe più opportuno, e ugualmente efficace, ancora in questa fase, rafforzare il dispositivo convenzionale sui fianchi orientale (corridoio Baltico-Mar Nero) e meridionale (Mediterraneo) della Nato. In particolare, data la tipologia di minaccia atomica, potrebbe essere utile trasferire nuovi assetti di ricognizione, guerra elettronica e difesa aerea e missilistica capaci di inibire l’azione di eventuali vettori russi (missili e aerei, soprattutto) armati di testate nucleari. In questo modo, si innalzerebbe il livello complessivo di difesa strategica, senza ricorrere a un potenziamento e/o riposizionamento del deterrente tattico. E, soprattutto, si potrebbe continuare a disporre di quella libertà d’azione che lo spauracchio atomico cerca di limitare, libertà ancor più preziosa oggi in vista della nuova tempesta russa le cui nubi già si addensano al confine con l’Ucraina.