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Gaza, così i servizi occidentali lavorano per la de-escalation. L’analisi di Germani

Nei prossimi mesi uno dei compiti cruciali per i servizi di intelligence occidentali sarà la promozione e la facilitazione dei processi di de-escalation, ricorrendo a operazioni di diplomazia occulta. L’analisi di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici

Il mega-attacco terroristico contro Israele del 7 ottobre 2023 (denominato “operazione Alluvione Al-Aqsa”), compiuto dal movimento sunnita palestinese Hamas e dalla Jihad islamica palestinese con il supporto dell’Iran, è stato un evento catastrofico per lo Stato ebraico. I servizi segreti israeliani avevano raccolto notizie relative alla preparazione da parte di Hamas di una massiccia campagna terroristica, ma i vertici dell’intelligence e militari israeliani ritenevano che il movimento sunnita non avesse né le capacità né l’intenzione di pianificare e attuare una operazione terroristica su una scala così vasta.

L’attacco del 7 ottobre ha trasformato le dinamiche geopolitiche del quadrante mediorientale e la geopolitica a livello globale. Esso, inoltre, ha riportato la minaccia del terrorismo di matrice jihadista al centro dell’attenzione dei decisori politici e dei media in tutto il mondo.

Prima del 7 ottobre, il Medio Oriente appariva essere sulla via di una maggiore stabilità, favorita da vari processi di distensione regionali. Anzitutto il processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele e parte della comunità di Paesi arabi, che in prospettiva avrebbe potuto coinvolgere anche l’Arabia Saudita. Un altro processo di distensione era la politica di riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran. L’attacco terroristico di Hamas, e la conseguente guerra tra Israele e Hamas, che ha provocato un disastro umanitario nella Striscia di Gaza, hanno determinato l’arresto di tali processi di deescalation, dando vita a tensioni e tumulti in tutto il mondo arabo-islamico, ed esasperando gli antagonismi legati al conflitto israelo-palestinese.

Dopo l’attacco di Hamas e lo scoppio della guerra a Gaza l’intero quadrante mediorientale è entrato in una fase di caos geopolitico, aggravato dalle crescenti attività destabilizzanti promosse dal cosiddetto “Asse della Resistenza” (mehvar-e moqâvemat in persiano, mihwar al-muqāwama in arabo), un’alleanza strategica informale, a guida iraniana, tra Iran, Siria, Hezbollah libanesi, Hamas, Houthi yemeniti, milizie sciite in Iraq e Siria. Ciascuno degli attori dell’Asse della resistenza persegue i propri interessi e le proprie ambizioni, ma tutti condividono due obiettivi strategici di fondo: la distruzione dello Stato d’Israele e la fine della presenza e dell’influenza statunitense in Medio Oriente. Il grado di influenza esercitata dell’Iran sui suoi proxy affiliati all’Asse è difficile da valutare – e varia a seconda dell’attore – ma essi rivestono una notevole importanza nella strategia iraniana tesa ad affermare la propria egemonia nello scacchiere mediorientale contrastando l’influenza degli Stati Uniti nella regione.

Dopo l’esplosione del conflitto a Gaza sono proliferati gli attacchi dei proxy filoiraniani contro truppe americane, israeliane e (nel Mar Rosso) navi commerciali e militari. Negli ultimi mesi del 2023 sono aumentate considerevolmente i rischi di escalation della crisi di Gaza in una guerra di più ampia portata, che potrebbe coinvolgere l’Iran e l’intero Asse della Resistenza nel conflitto con Israele, obbligando gli Stati Uniti a intervenire militarmente in difesa dello Stato ebraico. A partire da questa fase, una delle più pressanti priorità delle diplomazie e dei servizi d’intelligence occidentali diventa la prevenzione di un’escalation del conflitto, che innescherebbe non solo la destabilizzazione del quadrante mediorientale ma anche della sicurezza globale, visto l’impatto dirompente che una guerra regionale avrebbe sui mercati mondiali dell’energia.

L‘escalation del conflitto Israele-Iran

Il 14 aprile scorso l’Iran, in risposta al bombardamento israeliano in Siria che aveva ucciso 7 dirigenti delle Guardie Rivoluzionarie della Repubblica Islamica, ha lanciato un attacco contro Israele con oltre 300 tra droni, missili balistici e missili da crociera. Israele, con l’aiuto di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Giordania, riuscì a intercettarne la maggior parte utilizzando una molteplicità di aerei da combattimento e sistemi di difesa missilistica. L’attacco iraniano mirava a infliggere allo Stato ebraico danni ingenti e considerevoli perdite umane, ma allo stesso tempo evidenziava l’intenzione di Teheran di evitare la trasformazione dell’escalation in una guerra regionale.

Per la prima volta l’Iran ha attaccato lo Stato ebraico dal proprio territorio, inaugurando una nuova fase nella competizione strategica tra i due Stati. Fino a quel momento il conflitto Israele-Iran si poteva caratterizzare come una “guerra nell’ombra”, in cui entrambi gli attori evitavano di colpire l’altro in modo visibile e diretto, ricorrendo a tecniche di aggressione occulta e indiretta che consentivano ai rispettivi governi di negare il proprio coinvolgimento. L’Iran utilizzava i propri proxy e alleati per attaccare su più fronti lo Stato ebraico con l’obiettivo strategico di dissanguarlo progressivamente, senza rischiare la deflagrazione di una guerra regionale. Anche Israele combatteva l’Iran con strumenti di “guerra indiretta”, tra cui assassini mirati di dirigenti delle Guardie Rivoluzionarie della Repubblica Islamica e di scienziati iraniani impegnati nel programma nucleare di Teheran, cyber-attacchi, azioni militari contro alleati dell’Iran in Siria.

Dopo l’attacco iraniano gli Stati Uniti e Stati arabi del Golfo hanno esercitato fortissime pressioni sul governo israeliano per dissuaderlo dal rispondere con un’ulteriore escalation del conflitto, e all’interno del vertice decisionale israeliano non vi era pieno accordo sulla linea da adottare. Inizialmente era stata pianificata una risposta su vasta scala – il bombardamento di siti militari in tutto il territorio iraniano, comprese istallazioni nucleari – ma successivamente i decisori israeliani hanno optato per un’azione più limitata: l’attacco a una base dell’aeronautica iraniana nella provincia di Isfahan, dove sono collocati alcuni importanti siti atomici iraniani. Le crescenti tensioni fra Israele e Iran, e il passaggio della loro competizione strategica dal conflitto indiretto al conflitto diretto, rendono sempre più urgenti l’apertura di efficaci canali di comunicazione – anche di carattere occulto tra i vertici decisionali dei due paesi, al fine di prevenire errori di percezione e di valutazione che possano involontariamente innescare l’esplosione di una guerra regionale.

L’alleanza strategica Russia-Iran: un fattore di destabilizzazione

La crescente presenza e influenza della Russia in Medio Oriente e nel Mediterraneo, e in particolare la sempre più stretta collaborazione strategica e militare tra Russia e Iran, vengono percepite dagli analisti di intelligence occidentali come fattori di destabilizzazione del quadrante mediorientale. Mosca, come Pechino, considera il Medio Oriente un’arena cruciale per sfidare il potere globale degli Stati Uniti. La Russia e la Cina ambiscono a indebolire la presenza degli Stati Uniti nel quadrante e a sostituirsi a Washington come i più influenti attori globali in Medio Oriente. E sia la Russia che l’Iran condividono l’obiettivo strategico di cambiare l’architettura della sicurezza internazionale in Europa e nel Medio Oriente a danno dell’Occidente, come ha evidenziato Maurizio Molinari nel suo libro Mediterraneo conteso. Perché l’Occidente e i suoi rivali ne hanno bisogno.

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio del 2022 Mosca e Teheran hanno rafforzato sempre di più la loro collaborazione in ambito diplomatico (Mosca offre un sistematico sostegno diplomatico all’Iran in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite), economico, dell’intelligence e militare.  L’Iran ha fornito diversi tipi di armamenti alle forze armate russe – tra cui di munizioni, droni, missili terra a terra, e vettori balistici a medio raggio – che vengono impiegati nella guerra di aggressione di Mosca contro l’Ucraina. La Russia ha acquistato dall’Iran i droni Shaheed 131 e 136 – nonché modelli di droni più avanzati – che i militari russi utilizzano sistematicamente per distruggere infrastrutture civili in Ucraina. Inoltre, è stata è stata avviata la produzione di droni iraniani in una fabbrica situata all’interno della Federazione Russa, nella Repubblica del Tatarstan. In cambio del sostegno militare iraniano Mosca, secondo notizie ancora da confermare, sarebbe disposta a fornire all’Iran aerei da combattimento SU-35, elicotteri d’assalto Mi-28 e sistemi di difesa missilistica S-400.

Secondo le valutazioni analitiche di diversi servizi d’intelligence occidentali, l’alleanza strategica Russia-Iran rappresenta un rischio per la sicurezza internazionale sotto diversi profili.

  1. In primo luogo, essa rafforza militarmente la Russia nella sua guerra di aggressione in Ucraina, e l’Iran nella sua lotta per l’egemonia in Medio Oriente.
  2. In secondo luogo, tale alleanza alimenta l’aggressività e temerarietà di Teheran. Il regime iraniano, sentendosi forte grazie al crescente sostegno di una potenza planetaria, tende a incoraggiare i suoi proxy a compiere azioni più violente e destabilizzanti.
  3. In terzo luogo, l’alleanza con Teheran potrebbe indurre Mosca a non contrastare, o a sostenere, gli sforzi iraniani tesi ad accelerare il proprio programma nucleare per diventare un Paese “sulla soglia” della bomba atomica (nuclear-threshold state).

Dopo l’attacco del 7 ottobre Mosca, parallelamente al consolidamento dell’alleanza strategica con Teheran, ha rafforzato i rapporti di collaborazione con Hamas, Hezbollah e altri attori terroristici non-statali dell’Asse della Resistenza, fornendo sostegno tecnico e logistico, e (in misura per ora limitata) anche armi, al fine di agevolare le loro azioni militari contro forze americane e israeliane. Per esempio, secondo l’agenzia Reuters, Mosca avrebbe fornito a Hezbollah, tramite la Siria, potenti missili antinave. Va anche ricordato il sostegno diplomatico fornito da Mosca a Hezbollah e agli Houthi in ambito Onu. Il Cremlino ritiene che le azioni destabilizzanti dei proxy di Teheran nel Medio Oriente siano utili non solo per distrarre l’attenzione della comunità internazionale dalla guerra in Ucraina, ma anche per mettere sotto pressione gli Stati Uniti e per indebolire sempre di più il cosiddetto “Occidente collettivo”.

Il ruolo centrale dei servizi di intelligence occidentali

Nei prossimi mesi uno dei compiti cruciali per i servizi di intelligence occidentali sarà la promozione e la facilitazione dei processi di de-escalation, ricorrendo a operazioni di diplomazia occulta, dei molteplici conflitti che dilaniano il Medio Oriente, a partire dalla guerra Israele-Hamas nella striscia di Gaza. I servizi d’intelligence saranno anche chiamati a condurre delle covert operation finalizzate a contrastare le attività destabilizzanti dell’Asse della resistenza, proteggere e rafforzare gli Stati arabi insidiate dalla sovversione promossa dai proxy filoiraniani, nonché ostacolare e depotenziare la collaborazione strategica tra Russia e Iran.

Un webinar e un corso per approfondire

L’Istituto Gino Germani di scienze sociali e studi strategici ha organizzato un webinar “L’escalation del conflitto Israele-Iran e il ritorno del terrorismo in Medio Oriente”, che si terrà il 14 maggio alle ore 18 (la partecipazione è a titolo gratuito – link). Il 23-25 maggio a Roma si terrà il corso di alta formazione Il Medio Oriente nel caos: geopolitica, intelligence e terrorismo”.



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