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Come siamo arrivati alla politica degli insulti. Il commento di Merlo

Giorgio Merlo spiega perché chi si stupisce e lancia strali contro la battuta di Giorgia Meloni finisce, come recita un vecchio proverbio, di incappare nel rischio che “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”

La straordinaria battuta, al di là delle interpretazioni dei finti e ipocriti sacerdoti del “politicamente corretto”, di Giorgia Meloni rivolta al presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca dopo il noto insulto pronunciato dal dirigente del Pd in Transatlantico, ha indubbiamente lasciato il segno nella opinione pubblica. E lo ha lasciato in modo inequivocabile perché, oltre ad essere stata una battuta diretta e “ad personam” e quindi non estensibile ad altre realtà, denota che Meloni sa cogliere – al di là di tutte le varie ed articolate letture – la profondità dell’umore popolare. Del resto, sarebbe francamente curioso accusare la presidente del Consiglio di trivialità o di banale populismo a fronte delle tonnellate di insulti che le piovono addosso ogni giorno. Compresi, soprattutto, quelli che gli vengono lanciati dalle istituzioni. Nel caso specifico, dal presidente della Regione Campania.

Certo, è singolare che chi non ha solidarizzato con Meloni dopo gli insulti che le ha rivolto De Luca adesso finga di stracciarsi le vesti per la reazione, peraltro simpatica e diretta, della premier al suo insultatore istituzionale. Ma, al di là di questo siparietto, è indubbio che esiste un tema aperto nella politica italiana. E che va oltre gli insulti e le delegittimazioni politiche e personali che nella storia della democrazia italiana sono sempre esistiti. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla valanga di contumelie e di aggressioni verbali, e a volte anche fisiche, che la sinistra ex e post comunista ha scaraventato per quasi 50 anni addosso alla Democrazia Cristiana e ai suoi principali leader e statisti.

Esempi che si potrebbero moltiplicare perché il tassello dell’aggressione verbale, dell’insulto sistematico e della diffamazione scientifica sono ormai entrati a pieno titolo nella dialettica politica italiana. E che coinvolgono, come tutti sanno e come tutti possono quotidianamente sperimentare concretamente, il mondo giornalistico, editoriale, culturale e religioso.

Ora, però, c’è un aspetto che per onestà intellettuale non possiamo dimenticare o fingere che non esiste. Certo, l’attacco alle persone e la demolizione stessa delle persone appartengono, in modo quasi ontologico, alla cultura e alla prassi della sinistra per come si è manifestata storicamente nel cammino della democrazia italiana. Ma è indubbio che c’è stata una concreta e violenta escalation di questa deriva che ha avuto nel populismo grillino il suo culmine e la sua perfezione scientifica. Ovvero, la politica intesa come aggressione sistematica alle persone, demolizione della loro credibilità morale e politica, criminalizzazione delle rispettive culture politiche e, infine, delegittimazione di tutto ciò che non appartiene alla propria storia. E il “vaffa” di Beppe Grillo, che resta il cemento ideologico e unificatore dell’attuale partito di Giuseppe Conte, è riuscito a contagiare ampi settori della politica italiana.

Certamente ha avuto vita facile nella sinistra già predisposta storicamente a questa prassi ma ha coinvolto, purtroppo, anche altri settori facendo proprio dell’insulto e della demolizione delle persone la regola aurea del confronto politico. È appena sufficiente scorrere i giornali e ascoltare le trasmissioni televisive per rendersene conto.

Ecco perché chi si stupisce e lancia strali contro la simpatica battuta di Giorgia Meloni finisce, come recita un vecchio proverbio, di incappare nel rischio che “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”.


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