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In Messico antiche fragilità e nuova demagogia ipotecano il voto del 2 giugno

Di Lorenzo Farrugio

Nell’altra elezione americana più importante del 2024, la favorita è Claudia Sheinbaum, candidata a diventare la prima donna presidente della storia del Paese. Il vincitore dovrà fare i conti con l’ombra di Obrador, le bande criminali, il dumping cinese, lo spettro della rielezione di Trump, la compagnia petrolifera più indebitata al mondo e 50 milioni di poveri. L’analisi di Lorenzo Farrugio

Mentre tutti i riflettori sono puntati sulla corsa alla Casa Bianca, tra qualche giorno si terranno le altre elezioni americane pregne di conseguenze per gli Stati Uniti. Si tratta del voto del 2 giugno in Messico, che in quanto repubblica presidenziale federale rinnoverà il presidente, i due rami del Parlamento, 9 governatori su 32 e 20 000 seggi locali. È una campagna elettorale dai numeri ciclopici: oltre 630 milioni di dollari statunitensi di costo, 98 milioni di aventi diritto al voto, 3700 h di spot politici programmati in tv e radio.

I riflessi dell’elezione messicana si ripercuoteranno senza dubbio su quella del presidente degli Stati Uniti, per via della condizione di corridoio di ingresso negli Usa che la geografia regala al Messico. Il flusso di irregolari che oltrepassano il confine tra gli Stati Uniti Messicani e quelli d’America ha sfiorato i 2,5 milioni nel 2023. L’amministrazione uscente di Obrador si è spesa ben poco per occuparsi del problema e in caso di rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, il nuovo inquilino di Los Pinos (la residenza del capo di Stato messicano) dovrà fronteggiare la minaccia di dazi del 10% su tutte le merci e il dispiego dell’esercito americano ai suoi confini. Ma al di là delle migrazioni, le sorti del Messico sono impattanti perché il Paese, la 12a economia più grande al mondo con 128 milioni di abitanti, è il ponte tra l’America Latina e il Nord America ed è il crocevia di molti interessi degli Stati Uniti, che a lungo lo hanno considerato il loro “cortile di casa”.

Tre candidati ambiscono a succedere al presidente uscente Andrés Manuel López Obrador (detto Amlo):
Claudia Sheinbaum, fisica di 61 anni ed ex governatrice di Città del Messico, alla testa di Sigamos Haciendo Historia, la coalizione di sinistra imperniata attorno a Morena, il partito del presidente uscente, di cui Sheinbaum è la delfina;
Xóchitl Gálvez, quasi coetanea di Sheinbaum, già senatrice e imprenditrice nel settore tecnologico, è a capo di Fuerza y Corazón por México, eterogenea alleanza che abbraccia entrambi i lati dell’emiciclo;
Jorge Máynez, deputato di 39 anni, candidato dal partito progressista Movimiento Ciudadano per sparigliare le carte tra i due principali blocchi.

A fronte di un elettorato composto per più di ¼ da under 35, su TikTok Sheinbaum ha un seguito di 2,6 milioni di follower, il quintuplo della sua principale sfidante che pure sta sperimentando innovativi codici comunicativi. Il best in class nello sfruttare al meglio i social è però il terzo incomodo, Máynez, che ha impostato la sua campagna come il racconto di un’avvincente partita di calcio.

A differenza di quanto dichiarato da diverse testate internazionali, la competizione si sta svolgendo in una condizione di equilibrio di risorse tra le due principali coalizioni. Tra finanziamenti federali e locali per l’attività ordinaria e le iniziative elettorali, il fronte guidato da Sheinbaum ha a disposizione l’equivalente di 476 milioni di dollari di contributi pubblici per la campagna. Il rassemblement trainato da Galvez può contare invece su 470 milioni di dollari di fondi statali.

Tuttavia la partita non sembra contendibile. Secondo la media degli ultimi sondaggi elaborata da Oraculus, Claudia Sheinbaum gode di un vantaggio di 22 punti percentuali sul candidato in seconda posizione, Xóchitl Gálvez. La candidata dell’opposizione Galvez paga, in termini di mancato sfondamento nell’elettorato, l’aver dovuto imbarcare nella sua coalizione, nella speranza che l’unione facesse la forza, anche il Partito Rivoluzionario Istituzionale, che ha fatto per 71 anni del Messico un regime a partito unico dal 1929 al 2000.

Sheinbaum ha già dato prova di buon governo quando era a capo di Città del Messico e proietta competenza grazie alle dettagliate proposte di policy del suo programma, pur affette da qualche voluta vaghezza, e al passato da scienziata dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, al quale è stato assegnato il Premio Nobel per la Pace quando Sheinbaum faceva parte di una delle sue équipe di ricerca. Tuttavia deve gran parte del suo consenso al sostegno da parte di Obrador, che gode ancora di un tasso di approvazione del 55% tra la popolazione secondo le rilevazioni demoscopiche e che in questi anni è riuscito ad affermare la sua narrazione di un Messico trasformato, grazie a lui, in un Paese più prospero, sicuro e onesto. Questo è stato sufficiente a spingere la candidata del partito Morena farsi alfiere della continuità, a difesa delle politiche di welfare e dei progetti infrastrutturali lanciati dal presidente uscente.

Pur di intercettare il voto dei sostenitori di quest’ultimo, Sheinbaum è arrivata a imitare nei suoi discorsi la cadenza verbale lenta di Obrador. In realtà la popolarità di Amlo deriva dall’aver riorientato i sussidi statali in modo mirato (aumentandone il volume ma restringendone la platea) verso le proprie clientele e le categorie sociali che costituiscono la tradizionale base elettorale del suo schieramento. I beneficiari di sussidi statali detengono la golden share delle elezioni messicane, costituendo ¼ del totale degli elettori. 
Per mantenere questi sussidi sarà necessario un aumento delle tasse, che però la candidata di punta respinge come scenario. In aggiunta, a opera di Obrador la spesa statale è stata spostata dai servizi pubblici all’espansione dell’apparato statale. È stato abolito Prospera, una misura di sostegno al reddito che vincolava la percezione della sovvenzione alla frequenza scolastica dei propri figli e al sottoporsi a dei controlli medici per prevenire problemi di salute. Parte delle risorse per istruzione e sanità è stata spostata a beneficio degli agricoltori e delle retribuzioni degli apprendistati per i giovani. 1/3 della popolazione (47 mln su 128) fa i conti però con le ristrettezze della povertà, almeno relativa, e 2/5 non hanno accesso all’assistenza sanitaria: nel 2018 erano il 16%, adesso sono il 40% dei messicani. La fruizione di cure mediche è rimasta collegata al possesso di un lavoro, nonostante Obrador avesse promesso in campagna elettorale di creare un sistema sanitario universale. È stato anzi soppresso durante il suo mandato “Seguro Popular”, un programma statale che garantiva l’assicurazione sanitaria alle persone senza occupazione. Questa scelta ha inasprito le condizioni di vita dei più poveri e inaugurato una spirale che porta alla povertà chi si ritrova a dover affrontare il costo di cure oncologiche.

Nonostante il proliferare del crimine organizzato e violento sia divenuto un’emergenza nazionale negli ultimi anni, il Messico spende solo lo 0,6% del Pil in sicurezza interna. La politica di Obrador per fronteggiare le bande criminali è stata improntata al motto “abbracci, non proiettili”. Il tasso di omicidi resta altissimo, 23 ogni 100mila abitanti, superiore a quello dei vicini nordamericani e di molti dei Paesi del Centro e Sud America. È in calo di 6 punti percentuali rispetto al 2018 ma molto lontano dal tasso registrato nel non remoto 2007 (8 uccisioni ogni 100 000 abitanti). Per giunta 100mila sono le persone scomparse in Messico di cui non si hanno notizie. Ad oggi 82 omicidi politici, 65 attentati e 17 sequestri, di candidati scomodi o loro congiunti, hanno funestato la campagna elettorale dando prova tangibile di quanto sia impattante e sfrontato il peso dei cartelli messicani – autori di queste uccisioni – che hanno inasprito nel tempo il controllo del territorio, pilotando i governi locali. In aggiunta negli ultimi anni l’esercito è stato dirottato sempre più verso la gestione di appalti, compagnie, infrastrutture e agenzie statali, sottraendolo al contrasto al crimine. Sheinbaum nel suo programma si è impegnata a demilitarizzare la polizia, il cui controllo è stato di recente trasferito al ministero della Difesa, e di adoperare l’intelligence contro le bande criminali. Galvez ha invece provato a fare, senza successo, della sicurezza il suo cavallo di battaglia, forte del fatto che essa è il tema più vitale per i messicani, secondo i sondaggi. Tuttavia aleggia un senso diffuso di rassegnazione e pessimismo sul fatto che la situazione possa migliorare, a prescindere da chi venga eletto.

Invece dal 2018 a oggi 70 miliardi di dollari, tra trasferimenti e sgravi fiscali, sono stati spesi per mantenere in piedi la compagnia petrolifera di Stato, la Pemex. Quest’ultima è la più indebitata al mondo e annovera tuttora 106 miliardi di dollari di passività. Un tempo gallina dalle uova d’oro per le finanze pubbliche, più di recente la Pemex è diventata un vero pozzo senza fondo, ma non di greggio. Specularmente la “Terra del Sole” si è ritrovata a fare fronte a un problema di mix energetico. Durante l’amministrazione di Obrador, il Paese ha accresciuto la sua dipendenza dall’energia fossile e questo ha scoraggiato gli investimenti stranieri nel settore delle rinnovabili.

Il Messico inoltre ha una storia alle spalle di irresponsabilità fiscale. La legge di bilancio di quest’anno è stata concepita per vincere le elezioni e farà balzare il rapporto debito/ Pil dal 46% al 48%. Obrador, un tempo noto come un falco del rigore nei conti pubblici, a febbraio ha presentato un pacchetto di venti riforme, alcune delle quali già bocciate in passato, che prevedono tra le altre cose l’elezione popolare dei giudici e la soppressione delle autorità di controllo indipendenti. Questo fatto è stato interpretato come un tentativo di condizionare l’agenda politica del suo successore. Soprattutto tra le proposte vi è quella di allineare la pensione dei cittadini all’ultima busta paga ricevuta, con un tetto massimo di 16777 pesos.

L’aumento sarebbe un regalo a chi è già più abbiente, dato che beneficia solo i lavoratori regolari, che sono solo il 45% degli occupati. Questo prospettato incremento si sommerebbe a una “pensione di benessere” corrisposta a carico dello Stato a tutti gli ultrasessantacinquenni, il cui valore reale è triplicato dall’insediamento di Obrador a oggi. La spesa per le pensioni è già passata dall’assorbire il 18% al sequestrare il 22% delle uscite statali. In più quest’anno lo Stato messicano registrerà il suo più alto deficit dal 1980 pur di portare a compimento prima del voto diverse opere infrastrutturali faraoniche, concepite per sviluppare gli stati meridionali, i meno sviluppati della federazione messicana. La più celebre di queste è il “Treno dei Maya”, ultima delle laute concessioni fatte da Obrador all’esercito, che gestirà tramite una sua controllata la linea ferroviaria, così come vari hotel, parchi nazionali e una compagnia aerea con rotte lungo il percorso della strada ferrata.

L’esordio del prossimo presidente è dunque ipotecato da queste scelte poco lungimiranti. A questo quadro si aggiunge un’acutissima erosione del gettito fiscale per via dell’ipertrofia del settore informale dell’economia. Il Paese non sta nemmeno riuscendo a capitalizzare la necessità delle imprese statunitensi di fare friendshoring e nearshoring (ovvero riallocare le catene del valore in nazioni vicine e amiche) per via delle tensioni con la Cina.

Il Dragone vuole servirsi della “Terra dei Maya” come Cavallo di Troia per aggirare i dazi americani nell’accesso al mercato degli Stati Uniti grazie all’accordo di libero scambio Usmca, finendo col mettere in difficoltà le industrie locali con l’alluvione di alluminio esportato e l’apertura in loco di impianti produttivi.

Per divenire appetibile per gli investitori, il Messico dovrebbe ripristinare l’autorità statale nei territori controllati dalle bande criminali e investire ancora di più in strade e porti per superare i tanti colli di bottiglia della sua rete infrastrutturale. Antiche e nuove debolezze hanno fatto sì che la crescita annuale media del Pil messicano fosse solo del 2% negli ultimi 40 anni.

Nonostante il fortissimo vantaggio di Sheinbaum su Gálvez, non è scontato che il suo partito ottenga la maggioranza in entrambe le Camere del Parlamento, elette con un sistema in parte maggioritario e in parte proporzionale. Non tutti i mali vengono per nuocere: l’esigenza di venire a patti con l’opposizione potrebbe essere un buon pretesto per discostarsi dalle politiche meno accorte del suo predecessore, che nel suo mandato ha ripetutamente tentato di minare gli organi di controllo del Paese e che non può più essere rieletto. Sheinbaum potrebbe essere la prima donna della storia a guidare il Messico ma su di lei incombe l’ombra di Amlo. Obrador non si è ancora rassegnato all’eremitaggio da cowboy nel ranch di famiglia a Palenque, che pure ha più volte preannunciato. Lo aspetta un futuro da Silla o da Cincinnato?

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