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No all’estradizione in patria. Ad Ancona il giudice dà ragione a un ingegnere cinese

L’uomo si trovava in vacanza a Numana quando è stato arrestato. Dopo quasi due mesi di carcere, la Corte di Appello di Ancona ha rigettato la richiesta di trasferimento in Cina. L’avvocato Di Fiorino: “Il costante abuso dello strumento della Red Notice da parte dei regimi autoritari deve imporre una profonda riflessione sugli strumenti di cooperazione internazionale”

Dopo cinquanta giorni di detenzione in carcere, si conclude con un rigetto da parte della Corte di Appello di Ancona la vicenda – raccontata nei giorni scorsi da Formiche.net – che vede protagonista un cittadino cinese, ex dirigente di un colosso cinese delle costruzioni. Sembra così chiudersi una complessa vicenda internazionale, che aveva già interessato le autorità giudiziarie greche e tedesche, oltre a quelle cinesi. I vertici della società erano accusati di aver raccolto illegalmente circa 400 milioni di euro, con oltre 10.000 investitori coinvolti, per la realizzazione di un progetto immobiliare nella provincia cinese di Jilin. Mentre gli altri due fondatori del gruppo si trovano in custodia cautelare in patria da oramai quattro anni, il signor Y. (iniziale del cognome) si era trasferito in Germania prima dell’inizio dell’indagine penale da parte dell’autorità di Changchun.

L’arresto

Y. si trovava in vacanza in Italia, sentendosi al sicuro anche alla luce di una precedente decisione tedesca. Infatti, nel 2022 le autorità tedesche avevano già ritenuto non sussistenti le condizioni per garantire una collaborazione alla Cina dal momento che “l’Ufficio federale di giustizia, in accordo con il ministero degli Esteri, ha sollevato obiezioni all’esecuzione della richiesta”. Per tali motivi, il procuratore generale di Essen aveva definito l’estradizione “fuori discussione”. Ma nonostante il precedente, le autorità italiane avevano provveduto all’arresto di Y., su cui pendeva una Red Notice dell’Interpol. La Corte di Ancona aveva convalidato l’arresto e disposto la custodia in carcere del cittadino cinese, su richiesta del ministero degli Esteri della Repubblica popolare cinese.

Il precedente

Come già illustrato su queste pagine, a seguito della storica sentenza Liu v. Poland della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 ottobre 2022, l’Italia era stato il primo Paese a pronunciarsi circa la possibilità di collaborazione con la Cina, con la sentenza della Corte di Cassazione del 1° marzo 2023. Il caso riguardava una donna, ex amministratore delegato di una nota società cinese, che era ricercata in patria per presunti reati economici, coinvolta in una vicenda processuale sempre dinnanzi alla Corte di Appello di Ancona. Come raccontato da Formiche.net, tra il giugno e il dicembre 2021 la polizia cinese aveva trattenuto, immotivatamente e senza neppure informare i parenti, il fratello per sei mesi e sottoposto a “trattamenti inumani e degradanti” al fine di spingere la donna a far ritorno in patria.

Il rigetto della richiesta

Nell’udienza di venerdì scorso, la Procura generale aveva chiesto di accogliere la richiesta di estradizione della Repubblica popolare cinese, ritenendo assente ogni pericolo di atti persecutori, discriminatori o comunque tali da violare uno dei diritti fondamentali della persona. La difesa è stata affidata a Enrico Di Fiorino, che già aveva assistito la manager cinese nel caso precedente. Il difensore si è avvalso di una legal opinion redatta da uno studio legale cinese e di un memorandum predisposto dalla ong Safeguard Defenders  (Laura Harth, campaign director, sentita da Formiche.net, aveva invitato il Consiglio europeo a sospendere “immediatamente tutti gli accordi bilaterali di estradizione con la Repubblica popolare cinese.

Le ragioni della difesa

Sulla base di alcuni precedenti processuali cinesi e di una decisione assunta dalla Corte Suprema greca in un procedimento che ha riguardato un altro fondatore del gruppo di costruzioni immobiliari cinese, è stato dimostrato che la Cina è solita contestare ipotesi di reato meno gravi in una fase iniziale dell’indagine, per poi invece muovere accuse differenti, per le quali è possibile anche irrogare la pena dell’ergastolo o la condanna a morte. Come riconosciuto dalla Corte europea nel caso Liu v. Poland, basandosi sui report redatti da autorevoli organismi e organizzazioni non governative internazionali e nazionali, operanti nel settore della tutela dei diritti umani, sono stati esposti i motivi per cui sussisterebbe un rischio concreto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti. Da ultimo, la difesa ha sollevato un’ulteriore problematica: il ruolo marginale, se non inesistente, riconosciuto alla tutela dei diritti umani e alle garanzie processuali nei tribunali cinesi. Del resto, Freedom House – che annualmente, nell’ambito del report Freedom in the World, assegna una valutazione di libertà globale di ogni Stato rispetto alla tutela dei diritti politici e delle libertà civili – ha evidenziato l’assoluto assoggettamento della magistratura al controllo del Partito comunista cinese. Non a caso, la Cina è un Paese dove, a seguito dell’arresto, la condanna è statisticamente certa. Negli ultimi anni il tasso di condanne è stato, infatti, elevatissimo: confermando una tendenza consolidatosi da tempo, tra il 2020 e il 2021 il 99.95% degli imputati veniva considerato colpevole e conseguentemente condannato.

Le conseguenze della decisone

Il rigetto della richiesta di estradizione aggiunge un ulteriore tassello a un orientamento sempre più monolitico nel negare l’estradizione verso la Cina, proprio in ragione del rischio concreto di sottoposizione dell’estradato a trattamenti inumani e degradanti. “È certamente significativo che la decisione venga assunta dalla stessa autorità giudiziaria che meno di due anni fa aveva garantito una piena collaborazione con la Repubblica popolare – salvo poi essere duramente ripresa dalla Suprema Corte, che emise un provvedimento di assoluto rilievo e che non a caso è stato adottato come leading case in altri Paesi occidentali”, commenta soddisfatto l’avvocato Di Fiorino. “Nei giudici degli Stati europei è sempre più diffusa la consapevolezza di non poter più fornire alcuna assistenza a Paesi diversamente democratici, che non conoscono e anzi mortificano la rule of law e il giusto processo”, continua.

Gli utilizzi della Red Notice

“Il costante abuso dello strumento della Red Notice da parte dei regimi autoritari deve imporre una profonda riflessione sugli strumenti di cooperazione internazionale. Per quanto un’efficace sistema di law-enforcement necessiti di una rete di collaborazione, non possiamo rischiare che questi mezzi diventino strumenti di intimidazione o persecuzione”, aggiunge ancora il legale. Analogamente, preoccupazione per il caso di Ancona era stata espressa dal senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, che aveva parlato di “ennesimo abuso, da parte di Pechino, del sistema delle Red Notice nei confronti di propri connazionali all’estero”.

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