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Phisikk du role – Sartori forever, perché oggi ci manca così tanto

Sartori ricorda che la forma di governo dipende essenzialmente da “due antefatti”: la legge elettorale e il sistema di partito. Fino a quando non si metterà mano a questi due fondamentali momenti, optando per un sistema elettorale proporzionale con adeguate soglie di sbarramento, non ci sarà uscita dall’impasse in cui versa la politica italiana. La rubrica di Pino Pisicchio

Il tredici maggio di cent’anni fa nasceva il fondatore della scienza politica italiana e suo maestro riconosciuto in tutto il mondo: Giovanni Sartori. La sua scienza fu grande e grande fu il suo gusto, imbevuto di toscanità, ma attraversato dal “di più” che seppe cogliere dal mondo anglosassone, per la battuta urticante- suo il battesimo sprezzante delle nuove e compulsive leggi elettorali italiane in forma di latinorum (sublime il soprannome Porcellum rimasto appiccicato alla legge Calderoli del 2005) di poi adottato in forma sorprendentemente orgogliosa invece che offesa dai nuovi legislatori.

Tra i molti, allievi e colleghi autorevoli, che, in Italia e fuori d’Italia, hanno scritto di lui, solidi autori di formazione filosofica, come Zanfarino, o scienziati della politica come Pasquino e Massari, oltre al circuito nobilissimo dei compagni di corso della più antica scuola di Scienze Politiche d’Europa, l’Alfieri di Firenze, da lui presieduta, la biografia più centrata risale al 1997. Ed è, naturalmente, un saggio firmato Sartori: Chance, Luck and Stubbornness, letteralmente Caso, fortuna e testardaggine, che racconta, con uno stile che combina il coraggio della chiarezza con la grazia irrinunciabile dell’ironia,come l’incontro di questi tre elementi segni in modo importante la sua ricerca e la sua vita professionale.

In realtà l’originalità del pensiero sartoriano attinge ad un numero maggiore di elementi, che, nella sua elaborazione scientifica attraversano e assimilano più saperi: innanzitutto la filosofia, da lui definita “colonna portante di tutti i miei studi”, ma anche discipline come la sociologia, la storia, la scienza politica, l’economia, il diritto costituzionale, la scienza della comparazione, studiate e maneggiate con piena consapevolezza, costruendo un reticolo originalissimo, che dimostra quanto necessario possa apparire un approccio scientifico non parziale ma contaminato da chiavi di lettura diverse per comprendere una realtà impegnata per sua stessa natura in un processo continuo di nuova creazione del sé.

Ma il serbatoio inesauribile di saperi, che concorreranno a consacrare Sartori come un protagonista assoluto sulla scena mondiale della Scienza della Politica, a partire dal fondamentale Democratic Theory pubblicato in America nel 1960, si combina in modo perfetto con la scrittura del pensatore fiorentino, che manifestò fin da subito una capacità speciale di rendere intelligibile ad un pubblico ben più grande del recinto di addetti ai lavori, i ragionamenti complessi della politica.

La “pedagogia democratica” di un grande liberale come Sartori, dunque, trovava un mezzo congeniale nel dialogo con i lettori del Corriere della Sera e nei suoi taglienti pamphlet che gli consentivano la lettura del presente con la chiave di lettura dotta del grande studioso. Capace di geniali intuizioni, come quella contenuta nelle brevi pagine che, col titolo jus sanguinis, jus soli e residenza, nella raccolta La corsa verso il nulla, si fa carico della vexata quaestio relativa alla cittadinanza delle giovani generazioni di migranti, per avanzare una proposta inedita. “Vorrei proporre”, dice Sartori “un terzo principio: la concessione della residenza permanente, trasferibile ai figli, ma pur sempre revocabile, a chiunque entri in un paese legalmente, con le carte in regola ed un posto di lavoro”.

Naturalmente Sartori si occupò di premierato e non mancò di trattare con puntuale attenzione anche la versione “elettiva”, per un certo periodo in auge nel dibattito pubblico italiano, a partire dalla proposta Salvi nella bicamerale per le riforme del 1997. Poco più di 20 anni fa, dunque, scriveva in un saggio pubblicato sulla rivista di Scienza Politica (da lui fondata e diretta per lungo tempo) dell’agosto 2003, di “Premierato forte premierato elettivo”, distruggendo punto per punto la proposta di premierato all’italiana, avanzata all’epoca attraverso due disegni di legge dai senatori Tonini ( Pd) e Malan (FI), inusitatamente simbiotici.

Dopo aver spiegato che il premierato indica un sistema parlamentare in cui il potere esecutivo sovrasta il legislativo e in cui “il primo ministro comanda i suoi ministri”, Sartori ricorda che il premierato elettivo è stato sperimentato soltanto in Israele e “l’esperimento è già stato cancellato dopo tre prove tutte disastrose”. Già questo basterebbe a chiudere qui una volta e per sempre ogni velleità in questa direzione, ma il Maestro va oltre e spiega come lo strumento attraverso cui si intende promuovere l’esperienza in Italia, peraltro sconosciuta negli ordinamenti in cui si vedono a capo del governo il premier o il cancelliere, invece che rafforzare la stabilità e la tenuta delle legislature irrigidirebbe il quadro politico.

La flessibilità dell’esperienza inglese e di quella tedesca, quest’ultima assistita dalla sfiducia costruttiva, poggiano, infatti, sul carisma e i numeri della leadership di partito, non già su reti di protezione giuridica aggiuntive. Sartori ricorda, inoltre, che la forma di governo dipende essenzialmente da “due antefatti”: la legge elettorale e il sistema di partito. Fino a quando non si metterà mano a questi due fondamentali momenti, optando per un sistema elettorale proporzionale con adeguate soglie di sbarramento, non ci sarà uscita dall’impasse in cui versa la politica italiana. Questo scriveva Sartori 21 anni fa. Non è difficile comprendere perché oggi ci manchi così tanto.



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