Il Mediterraneo torna a essere attraente per i grandi investitori americani. Il fondo di private equity Carlyle sta per creare una società di petrolio e gas nel Mare Nostrum dopo aver acquisito le attività di Energean in Egitto, Italia e Croazia, per la somma di 945 milioni, tre volte il prezzo pagato quattro anni fa dalla società inglese (il quartier generale è a Londra) per rilevare il portafoglio di asset da Edison. Nella partita ci sarà anche l’ex ceo di Bp, Tony Hayward, in veste di presidente della nuova società controllata da Carlyle.
Guardando all’operazione, come detto Carlyle acquisirà da Energean (che mesi fa era entrata in polemica contro la tassa sugli extraprofitti delle grandi compagnie energetiche, proposta dall’allora governo italiano), a soli due anni dal suo arrivo. Ora è successo. un portafoglio di attività di esplorazione e produzione a prevalenza di gas in Italia, Egitto e Croazia. Questo fornirà alla società di investimento con sede a Washington un portafoglio diversificato altamente strategiche, con una produzione prevista di 47 mila barili di petrolio al giorno e operazioni nei tre Paesi, con sviluppi avanzati e su larga scala all’interno di mercati favorevolmente disposti allo sviluppo di nuove fonti di gas.
Non è tutto. Il portafoglio prevede partecipazioni sia in Cassiopea, il più grande giacimento di gas in Italia in termini di riserve situato nel canale di Sicilia, sia in Abu Qir, una delle maggiori hub di produzione di gas in Egitto. Inoltre, Carlyle istituirà una società autonoma nell’ambito E&P nel Mediterraneo, attraverso iniziative di crescita organica ed M&A. Nell’ambito della transazione, Tony Hayward, attuale presidente esecutivo di SierraCol, come detto diventerà presidente della nuova società, concentrandosi sullo sviluppo di operazioni a larga scala nella regione.
Quanto al costo dell’operazione, il capitale per la transazione proverrà da Carlyle International Energy Partners, un fondo di private equity che investe in opportunità energetiche in Europa, Africa, America Latina e Asia. E questo in forza del fatto che Carlyle dispone di una piattaforma energetica globale ampia e diversificata che investe nell’intero spettro di elettroni e molecole necessari allo sviluppo di nuovi percorsi energetici, e di una consolidata esperienza nel sostenere imprese energetiche nell’attuazione di strategie di decarbonizzazione. Era il dicembre del 2020 quando Edison ed Energean diedero esecuzione all’accordo sottoscritto il 4 luglio 2019 e successivamente modificato a giugno 2020 a seguito degli impatti economici della crisi pandemica, per la vendita di Edison Exploration and Production e delle sue partecipazioni nel settore esplorazione e produzione di idrocarburi al gruppo inglese.
“Questo portafoglio di asset di alta qualità in Italia, Egitto e Croazia, paesi che stanno attivamente incoraggiando lo sviluppo di nuove fonti di gas, avrà un ruolo centrale nella transizione energetica. Sosterremo la trasformazione di questi asset in una piattaforma di E&P scalabile nel Mediterraneo attraverso l’esecuzione di sviluppi a breve termine, aprendo opportunità di crescita organica, M&A e accelerando la realizzazione di piani di decarbonizzazione preesistenti”, ha dichiarato Bob Maguire, co-Head di Carlyle International Energy Partners.
D’altronde Carlyle ha sempre avuto una particolare attenzione ai processi legati allo studio delle sfide internazionali critiche che coinvolgono l’energia e l’ambiente, come il cambiamento climatico e la sicurezza energetica, e il loro significato per i più ampi dibattiti sulla politica estera, tanto che dal 2008 il Council on Foreign Relations ha creato una chair su questi temi intitolata a David Rubenstein, cofondatore e copresidente di Carlyle.
La società è storicamente molto legata alla politica, singolarità del mondo private equity americano (tanto che Carlyle ha sede a Dc e non a New York, ossia non nella città che ospita Wall Street ma in quella di Capitol Hill). E non a caso, James Stavridis, ex Supreme Allied Commander della Nato, ammiraglio e conoscitore del Mediterraneo, ha dallo scorso anno assunto il ruolo di responsabile per l’attività internazionale e la strategia globale di Carlyle (con cui collabora da tempo).
Non sfugge dunque l’angolo geopolitico dietro a certe mosse, frutto anche di una connessione sempre più marcata tra le relazioni internazionali e il mondo del business. Posizionarsi nel contesto mediterraneo serve in fondo anche a mettersi al posto di qualcun altro; a confermare che gli investimenti (privati, ma strategici anche dal punto di vista della rappresentanza dello stato, sia nel soft che nell’hard power, o nello sharp power) restino pesanti; a evitare che piani simili di Cina e Russia finiscano strombazzati dalla propaganda.
Mentre la Cina costruisce l’hub per le batterie in Marocco per aumentare l’overcapacity e spingere l’Europa alla dipendenza, l’americana Carlyle investe nell’Oil&Gas pulito (con le nuove tecnologie che permettono l’abbattimento delle emissioni) e dimostra di comprendere che il settore resta la risorsa del presente nella regione. Ossia, partecipa al processo di sviluppo attuale di una serie di Paesi che intendono in futuro partecipare ai piani di transizione energetica, ma devono fare i conti con la situazione corrente e produrre l’energia per la crescita con ciò di cui possono disporre. È un processo per certi versi partitario, che incrocia i propri principi con quelli cooperativi alla base del Piano Mattei.