Serve consolidare l’approccio attuale rafforzando la responsabilità delle imprese, puntando sui Paesi terzi e dando più risorse alle agenzie preposte all’applicazione delle sanzioni. Ecco i suggerimenti dell’ex ambasciatore Usa a Mosca McFaul
Quando si riuniranno la prossima settimana in Puglia sotto la presidenza italiana, i leader del G7 dovrebbero puntare a individuare nuovi modi per dissuadere la Cina dal rafforzare il complesso militare-industriale russo, ma anche per evitare che le aziende occidentali facciano lo stesso. A scriverlo è Michael McFaul, accademico, architetto della politica di reset con la Russia dell’amministrazione Obama, ambasciatore statunitense a Mosca dal 2012 a 2014, da due anni coordinatore, assieme ad Andrii Yermak, capo dell’ufficio presidenziale ucraino, di un gruppo di lavoro internazionale sulle sanzioni alla Russia.
I Paesi del G7 dovrebbero sanzionare le aziende cinesi che forniscono tecnologia alla Russia e le banche cinesi che facilitano questi trasferimenti di tecnologia, sostiene McFaul auspicando anche altre misure in grado di rallentare questo trasferimento di tecnologia. Tuttavia, “prima di sanzionare gli attori cinesi dobbiamo sanzionare le nostre aziende e istituzioni finanziarie che aiutano la macchina da guerra di [Vladimir] Putin”, scrive. “Questo renderà più credibili le nostre azioni contro la Cina (e altri Paesi che operano in questo settore)”, aggiunge. Come fare? Prendendo in considerazione anche misure di “naming and shaming”, obblighi di “know-thy-costumer” per ridurre il flusso di tecnologia occidentale verso la Russia attraverso i mediatori.
McFault cita un articolo sul New York Times in cui Chris Miller, professore alla Tufts University, suggeriva l’obbligo per le aziende di installare sistemi la geolocalizzazione. “Un Apple AirTag costa meno di 30 dollari”, scriveva. “I produttori di strumenti da milioni di dollari possono sicuramente trovare un modo economico per incorporare la geolocalizzazione approvata dal governo nei loro dispositivi dual-use e fornire una verifica in tempo reale al Dipartimento del Commercio. Idealmente, se uno strumento vietato venisse trasferito in Russia o in uno stabilimento cinese vietato, verrebbe automaticamente disattivato”, spiegava.
Secondo McFaul, i controlli sulle esportazioni rimangono uno strumento potente per limitare il complesso militare-industriale della Russia, che sembra non aver trovato fornitori alternativi per molte importazioni critiche per la guerra. Ma servono modifiche all’approccio attuale per migliorarne l’efficacia, tra cui “rafforzare la responsabilità delle imprese”, “puntare sugli intermediari nei Paesi terzi che forniscono alla Russia beni necessari alla guerra da parte dei produttori della coalizione” (aziende in Cina, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Caucaso e Asia centrale) e dare maggiori risorse alle agenzie preposte all’applicazione delle sanzioni.