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Dalla lancia all’IA. Il libro di Ercolani e Breccia sulla storia delle armi

Dall’età della selce a quella del silicio, le armi hanno condizionato l’evoluzione dell’intera storia umana. Oggi, in uno scenario geopolitico sempre più fragile e alla vigilia di nuove tecnologie dirompenti nel campo militare guidate dall’intelligenza artificiale, il volume di Breccia e Ercolani, “200 Generazioni”, riflette sulle sfide future che accompagneranno la prossima evoluzione degli strumenti militari

L’evoluzione dell’umanità è stata accompagnata lungo i secoli dalla parallela trasformazione delle armi, esse stesse fautrici di cambiamenti e trasformazioni epocali. La polvere da sparo ha cambiato il modello politico e sociale dell’aristocrazia, portando al centro della Storia le masse, l’era nucleare è stata caratterizzata da nuovi equilibri geopolitici globali, e in futuro chissà cosa potrà venire dall’introduzione dell’IA. Sono questi i temi e gli interrogativi posti dal libro “200 Generazioni. Dalla pietra all’IA: storia delle armi nella storia dell’umanità”, (edito da Il Mulino) scritto a quattro mani da Gastone Breccia, professore di Storia bizantina e Storia militare antica presso l’università di Pavia, e Alessandro Ercolani, amministratore delegato di Rheinmetall Italia, presentato alla Luiss in un dibattito che ha riunito, oltre agli autori, Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera dei deputati, Franco Gabrielli, delegato per la sicurezza e la coesione sociale di Milano, e Barbara Carfagna, giornalista e anchor Rai, moderati dal direttore di Formiche e Airpress, Flavia Giacobbe.

Nel suo ultimo giorno da rettore della Luiss, il professor Andrea Prencipe ha accolto relatori e ospiti (tra cui Jaroslav Mel’nyk, ambasciatore ucraino in Italia, Giorgio Silli, sottosegretario agli Affari esteri, il generale Luca Goretti, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e il generale Luciano Portolano, segretario generale della Difesa) offrendo una visione particolare sul tema del progresso, poiché il libro di progresso tratta: “Siamo homo sapiens non perché produciamo macchine, ma perché sappiamo utilizzarle”. Logica da tenere bene in considerazione con l’ingresso dell’intelligenza artificiale, specie nella sfera bellica. 

Come spiegato da Ercolani, le ragioni che lo hanno portato a pensare, e poi a scrivere, il libro. Oltre “al privilegio di lavorare col professor Breccia” e al desiderio di fare giustizia al ruolo innovatore dell’Italia, spesso sottostimata dalla storiografia popolare anglosassone “come nel caso del film Oppenheimer, che non menziona Enrico Fermi”, alla base dell’impulso che ha dato vita al libro c’è stata la volontà di informare le persone su una materia che, da due anni a questa parte, è purtroppo balzata all’ordine del giorno, soprattutto perché “è solo con la comprensione che si può costruire il necessario consenso intorno al budget per la Difesa”. 

Il fil rouge che percorre tutto il libro è stato identificato dal professor Breccia nel fatto che, nella condotta della guerra, si parte da alcune motivazioni che si ripetono nel tempo, dall’età della selce a quella del silicio: “Acquisire risorse, proteggersi, affermare prestigio”, seguite dalla consapevolezza che alla base dei conflitti c’è la disponibilità economica, “fattore ultimo nell’andamento della guerra”. Vince, ha citato il professore, “chi ha l’ultimo soldo da spendere”.

L’onorevole Mulè ha invece riflettuto sulla necessità italiana di concentrarsi in misura molto maggiore nella Difesa, poiché, adesso, rappresentiamo “un granello di sabbia negli investimenti mondiali del settore”. Dobbiamo superare “soglie futili come quella del 2%, scardinare qualsiasi vincolo di spesa” (come già reiterato dal ministro della Difesa, Guido Crosetto) e “mettere tutti i quattrini necessari”,  perché questi investimenti faranno fare un passo enorme alla società che li porterà a termine, e “quando ci renderemo conto della distanza che ci separa da Usa e Cina, sarà troppo tardi”. 

A proposito di investimenti e soglie capacitive, il prefetto Gabrielli, si è detto d’accordo circa la necessità di ripensare il nostro approccio: non più porre un “obiettivo ragionieristico” come il 2%, ma capire quali siano i bisogni, valutarli, e poi trovare i fondi necessari. Gabrielli si è anche interrogato circa l’operazione Strade Sicure. Al di là dell’apporto dato dai militari alla sicurezza interna, “si tratta di sei o settemila unità dispiegate in un modo sub-ottimale rispetto alle loro capacità e alla loro eccellenza internazionale”. 

Sul tema della corsa tecnologica, Carfagna ha sviluppato una riflessione che dà speranza: non si tratta di grandezza (e, quindi, di disponibilità di capitale), ma, in ultima istanza, di risultati. Essere i migliori in una determinata nicchia può già avere un peso enorme: “La Turchia ha accresciuto la sua influenza nel Mediterraneo anche grazie ai suoi droni Bayraktar, mentre Israele ha ridefinito la sua relazione diplomatica coi sauditi anche grazie all’aiuto fornito in materia di sicurezza cibernetica”. 

Nel nuovo libro di polemologia, quindi, due sono stati i temi principali: IA e spesa per la Difesa. I protagonisti si sono mostrati unanimi nelle loro esortazioni a superare la logica del 2% e a investire quanto necessario. Circa l’intelligenza artificiale, invece, si ha la sensazione che bisogna continuare a parlarne, idealmente in modo trans-settoriale, per trovare quelle risposte etiche e legali a domande che rischiano di sfuggirci rapidamente di mano.

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