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Che cos’ha fatto l’intelligence per contrastare la mafia. La lezione di Germani

Nella stagione dello stragismo mafioso – che culminò con gli assassini di Falcone e Borsellino nel 1992 e le bombe del 1993 – l’anticriminalità organizzata costituiva il settore di massima priorità per i servizi segreti italiani. Un’attenzione che serve ancora oggi, anche alla luce del fatto che le organizzazioni possono essere utilizzate come strumenti di spionaggio e ingerenza da parte di servizi segreti stranieri. L’analisi di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici

L’infiltrazione della criminalità organizzata nel sistema economico-finanziario e nel mondo politico-istituzionale rimane una minaccia insidiosa per la sicurezza e la prosperità del sistema-paese. Ciononostante, negli ultimi 15-20 anni i decisori politici italiani sembrano avere ridotto progressivamente il ruolo dei servizi d’informazione e sicurezza nel contrasto alla criminalità organizzata, sia autoctona sia straniera, affidando la lotta antimafia sempre di più alle forze di polizia e alla magistratura.

L’impegno dell’intelligence italiana – e in particolare del Sisde, il servizio di sicurezza interna predecessore dell’Aisi – nel contrasto alla criminalità organizzata fu istituzionalizzato dopo l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, il 3 settembre 1982. La risposta dello Stato a questo attacco terroristico di Cosa Nostra fu la creazione dell’Alto commissariato per il coordinamento della lotta alla delinquenza mafiosa. Emanuele De Francesco, direttore del Sisde, fu nominato capo del nuovo commissariato e Prefetto di Palermo, mantenendo contemporaneamente la guida del Sisde.

Quasi un decennio dopo, alla fine del 1991, quando Cosa Nostra aveva deciso di perseguire una strategia ancora più violenta di contrapposizione allo Stato, fu istituita la Direzione investigativa antimafia con la legge numero 410 del 30 dicembre 1991, che affidò al Sisde e al Sismi, rispettivamente per l’area interna e quella esterna, il compito di “svolgere attività informativa e di sicurezza da ogni pericolo o forma di eversione dei gruppi criminali organizzati che minacciano le Istituzioni e lo sviluppo della civile convivenza”. Così, nella stagione dello stragismo mafioso – che culminò con gli assassini di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992 e le bombe del 1993 – l’anticriminalità organizzata costituiva il settore di massima priorità per i servizi segreti italiani. In quegli anni, inoltre, il collasso del sistema sovietico offriva alle grandi organizzazioni criminali italiane nuove opportunità di espansione nei Paesi dell’Europa centro-orientale post-comunista, nei Balcani e nella stessa Russia. Uno dei nuovi compiti assegnati alle agenzie di intelligence italiane fu la ricerca informativa sull’espansione verso Est delle mafie italiane, nonché sulle emergenti saldature operative tra criminalità italiana e mafie post-sovietiche e balcaniche.

La durissima controffensiva dello Stato portò, verso la metà degli anni Novanta, alla sconfitta dell’ala stragista di Cosa Nostra. Quest’ultima adottò, come conseguenza, una strategia di “inabissamento”, un approccio seguito anche dalla ‘ndrangheta. Tuttavia, secondo gli analisti d’intelligence dell’epoca, le organizzazioni mafiose, anche se avevano accantonato lo scontro frontale e violento con lo Stato, continuavano a rappresentare una grave minaccia eversiva per le Istituzioni e per la società civile.

Nell’aprile 1995, in occasione di un seminario organizzato dal Sisde, riservato a rappresentanti delle agenzie di intelligence europee, l’allora direttore della divisione analisi e previsione del Sisde, il compianto Alfredo Mantici, affermò nella sua relazione introduttiva “nell’attuale congiuntura storica, la presenza di una criminalità organizzata ormai ‘adulta’, che ha superato cioè la fase della contrapposizione sociale clamorosa e violenta per muoversi nel contesto legale, mantenendo pur sempre modalità e programmi di natura illegale, rappresenta un vero e proprio rischio eversivo per le Istituzioni, da disinnescare o quantomeno controllare per tempo, prima che possa inquinarle in maniera irreversibile”. E ancora: “[L]a criminalità organizzata si pone obiettivi di controllo del territorio, dei comparti economico-finanziari, quando non addirittura della coscienza della gente, che rappresentano un pericolo eversivo per lo Stato, ben al di là quindi di una fisiologica patologia sociale. (…) [L]e aree a più alta densità mafiosa sono anche quelle dove più alto è l’indice di disastro sociale, istituzionale, economico ed ambientale. La mafia, in realtà, si pone come soggetto di disastro sociale ed economico: lo produce perché ne ha bisogno. Nel degrado sociale, infatti, essa può presentarsi come unica mediatrice della soluzione dei problemi dei singoli, cercando di acquisire quel ruolo sostituivo dello Stato che è la vera valenza eversiva del fenomeno”.

Quando il direttore dell’analisi del Sisde presentò questo lucido e preciso profilo della minaccia mafiosa la criminalità transnazionale stava diventando un settore di crescente interesse per i servizi segreti di molti Stati. Negli anni Novanta, dopo la fine della Guerra Fredda, era in corso una fortissima espansione e trasformazione delle grandi organizzazioni criminali – italiane (soprattutto la ‘ndrangheta), russe-eurasiatiche, balcaniche, cinesi, latino-americane – che stavano sfruttando efficacemente la globalizzazione per potenziare le proprie attività illecite e penetrare profondamente nell’ economia legale di molte nazioni del mondo.

Nell’era della post-Guerra Fredda la maggior parte degli Stati democratici percepirono l’enorme crescita dei traffici illeciti internazionali – droga, esseri umani, armamenti, materiali e tecnologie sensibili, prodotti contraffatti, organi umani – come un processo destabilizzante per la sicurezza nazionale e internazionale, e assegnarono alle proprie agenzie di intelligence il compito di monitorare e contrastare tali traffici. Per esempio, nel 1994 fu costituito all’interno della CIA il Crime and Narcotics Center sulla base del CIA Narcotics Center, creato nel 1989 soprattutto per combattere i Cartelli colombiani della droga.

Suscitava particolare preoccupazione tra gli analisti di intelligence la crescente collaborazione – e spesso interpenetrazione – tra criminalità organizzata e apparati statali in diverse regioni del pianeta: America Latina, Russia ed Eurasia post-sovietica, Balcani, Africa ed Estremo Oriente. In molti Paesi di queste aree si osservava un crescente coinvolgimento nel narcotraffico e in altri traffici illeciti di esponenti di vertice di governi, forze armate, forze di polizia, e servizi di intelligence e sicurezza.

Tuttavia, l’attenzione dedicata alla criminalità organizzata transnazionale da parte delle agenzie di intelligence occidentali fu bruscamente interrotta dagli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Il contrasto ad Al Qa’ida e ad altre organizzazioni terroristiche di matrice islamista diventarono la massima priorità dei servizi segreti statunitensi e di altri Stati occidentali, facendo passare in secondo piano la minaccia globale della criminalità organizzata e l’intreccio crescente fra potere politico e poteri mafiosi in molti Paesi del mondo.

Anche in Italia dopo l’11 settembre il controterrorismo diventò il settore di maggiore importanza per le nostre agenzie d’intelligence. Dopo la crisi finanziaria mondiale del 2007-2008 si aggiunsero altri campi percepiti come altamente prioritari dai decisori politici: i rischi e le minacce alla sicurezza economico-finanziaria nazionale, i movimenti anarco-insurrezionalisti e antagonisti che miravano a sfruttare il disagio sociale provocato dalla crisi economica, i fenomeni di crisi e instabilità nel Medio Oriente e Nord Africa. Qualche anno più tardi la minaccia cibernetica fu inclusa tra i settori di massimo interesse per l’intelligence nazionale, e dopo il 2015-2016 l’ingerenza e influenza russa e cinese (la “minaccia ibrida”) inizia a configurarsi come un nuovo e importante campo di azione dei servizi segreti, anche se l’opinione pubblica viene informata di questo solo nel 2022, dopo l’invasione militare totale russa dell’Ucraina.

In tutti questi anni la criminalità organizzata endogena ed esogena continuava a essere pubblicamente indicata come “minaccia interna” dalle nostre agenzie di intelligence, ma gradualmente perdeva centralità e importanza nella politica di informazione per la sicurezza di Palazzo Chigi. Nella relazione annuale al Parlamento del comparto intelligence relativa al 2023 solo due pagine di un totale di 110 pagine sono dedicate alla criminalità organizzata.

Appare quanto mai necessario avviare un dibattito nazionale sull’evoluzione della criminalità organizzata come minaccia eversiva e multidimensionale alla sicurezza nazionale, e sulle funzioni e i compiti che servizi d’intelligence nazionali dovrebbero svolgere in questo settore. I rischi per il sistema-paese connessi alla criminalità organizzata endogena e straniera e alla penetrazione mafiosa nell’economia legale e nel sistema politico sono gravi: 1) il progressivo indebolimento e de-legittimazione dello Stato e delle Istituzioni democratiche; 2) l’inquinamento e la distorsione del sistema economico-finanziario; 3) l’espansione nella società italiana di “subculture dell’illegalità” autoctone e straniere e di aree di crescente insicurezza e degrado.

Va sottolineato, inoltre, che minacce quali il terrorismo, lo spionaggio e l’ingerenza di potenze straniere spesso sono strettamente connesse con il mondo della criminalità organizzata. Vi sono stati molti casi, anche nella storia italiana, di saldature operative tra organizzazioni mafiose e movimenti terroristici ed eversivi, nazionali ed internazionali. Attualmente, per esempio, la ‘Ndrangheta, la più ricca e potente mafia in Italia e in Europa, intrattiene rapporti di collaborazione con organizzazioni narco-terroristiche colombiane.

Infine, non va trascurato il fatto che le organizzazioni criminali straniere presenti in Italia possono essere utilizzate come strumenti di spionaggio e ingerenza da parte di servizi segreti stranieri, come quelli russi, cinesi, iraniani, turchi e di alcuni Stati nordafricani. Per esempio, i servizi segreti russi spesso si avvalgono della criminalità organizzata russa ed eurasiatica come “braccio armato” per condurre operazioni di ingerenza in Europa.

Un webinar e un corso per approfondire

L’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici ha organizzato un webinar “L’intelligence contro l’antistato: i servizi segreti e la lotta alla criminalità organizzata”, che si terrà oggi (mercoledì 5 giugno) alle ore 18:30. Qui il link per la partecipazione, a titolo gratuito, in diretta all’evento. Seguirà un Corso di specializzazione in HUMINT e Sicurezza Operativa: metodologie e tecniche di ricerca informativa per la sicurezza nazionale e aziendale che si terrà in presenza a Roma il 14-15 giugno, 21-22-giugno, 28-29 giugno, con una esercitazione operativa sul campo il 5-6 luglio.

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