Dopo svariati sabotaggi, la Nato inizia a reagire alla minaccia sottomarina russa (e non solo), col Maritime Centre for Security of Critical Undersea Infrastructure, che ha recentemente raggiunto l’initial operational capability. I rischi però restano e, mentre l’Italia innova nel Mediterraneo, l’esempio nel mare del Nord è la Norvegia
Che le nostre società si basino anche sulle infrastrutture sottomarine (cavi internet e gasdotti) è ormai assodato, così come è assodata la loro elevata vulnerabilità. Tutti ricordiamo il sabotaggio dei gasdotti Nordstream 1 e 2 a settembre 2022, e destò preoccupazione l’incidente ai cavi internet sottomarini nel Mar Rosso a settembre 2024. Ancor prima, a gennaio 2022 (prima dell’aggressione russa all’Ucraina), ci fu la distruzione di uno dei due cavi in fibra ottica che connettono le sensibilissime isole Svalbard con la madrepatria norvegese. In un contesto di continuum competitivo, nel quale russi, cinesi e iraniani sono maestri nell’agire nelle zone grigie in modo ibrido, occorre correre ai ripari. L’Italia ha recepito questa importante novità con la creazione del Polo nazionale della dimensione subacquea, ed ora comincia a delinearsi anche una risposta Nato.
Secondo quanto riportato da Foreign Policy, l’Alleanza Atlantica crede ormai che la Russia stia conducendo un programma lungo decadi per mappare le infrastrutture subacquee europee, al fine di preparare il prossimo campo di battaglia. Senz’altro, questo non richiede eccessivi sforzi, poiché gran parte di questa mappa è pubblica. L’ammiraglio Didier Maleterre, vice comandante del comando marittimo Nato (Marcom), ha ammesso ad aprile che “tutta la nostra economia sottomarina è minacciata” dai russi.
Questo sforzo di Mosca si inserisce nel suo arsenale ibrido. Intanto, questa stessa mappatura e qualche sabotaggio sono una dimostrazione di forza che alimenta la percepita pericolosità della Federazione russa – in fondo, potrebbe essere sufficiente far credere (o temere) di essere capaci di distruggere le infrastrutture sottomarine per ottenere effetti importanti. In secondo luogo, i sabotaggi sono spesso portati avanti da navi e personale civile: il Balticconnector fu sabotato nell’ottobre 2023 da una nave civile cinese, che “non si accorse” di trascinare l’ancora per più di due chilometri, scortata da un rompighiaccio russo.
Ecco che la Nato ha infine sviluppato un gruppo di coordinamento per le infrastrutture sottomarine, decisione presa al summit di Vilnius lo scorso anno. Questo gruppo – basato al comando marittimo dell’Alleanza a Northwood, vicino Londra – riunisce esperti e funzionari civili e militari per creare un sistema sinergico. L’ambizione è sviluppare insieme un enorme sistema di allerta, che usi sensori di varia natura, analisi dei dati computerizzata e intelligenza artificiale. Pattugliare fisicamente tutte le infrastrutture critiche, infatti, richiederebbe un numero insostenibile di sottomarini. Il Nato Maritime centre for security of critical undersea infrastructure ha già raggiunto la initial operational capability, ma è ancora agli inizi. Le nazioni che vi partecipano sono Danimarca, Germania, Norvegia, Polonia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti, con Grecia, Portogallo e Svezia che si uniranno a breve.
Il consigliere politico di Marcom, James Bergeron, ha dichiarato: “Proteggere ogni centimetro di infrastruttura critica sottomarina è difficile, ma quel che possiamo fare è ‘negare la negabilità’. Se un agente ostile prova a disturbare, minacciare o attaccare clandestinamente infrastrutture offshore o sottomarine, l’obiettivo principale da raggiungere è far sì che non possano farla franca. Saranno piuttosto individuati, con delle videocamere e sensori sottomarini, così che non possano negare le proprie azioni e debbano affrontarne le conseguenze”.
È la Norvegia che sembra essere il Paese più all’avanguardia nell’Europa settentrionale. Dopo l’incidente del Balticconnector, Oslo ha iniziato un’approfondita indagine delle sue infrastrutture sottomarine. Alla fine, sono stati ispezionati più di novemila chilometri di cavi, identificando la natura di qualsiasi oggetto trovato nelle loro vicinanze. Questa prontezza di indagine è stata resa possibile da un settore civile in grado di condurre quest’operazione e, soprattutto, da una cultura di collaborazione tra il pubblico e il privato.