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Perché il 7 ottobre è già un fattore di reclutamento per i terroristi

“Lo abbiamo già visto in qualche misura in Europa” con i piani per attentati contro obiettivi ebraici, ha spiegato Holmgren nell’ultima intervista da capo dell’intelligence del dipartimento di Stato. Tra pochi giorni prenderà le redini del National Counterterrorism Center

L’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre scorso “è stato, è e sarà un evento generazionale che le organizzazioni terroristiche in Medio Oriente e nel mondo utilizzeranno come opportunità di reclutamento”. È quanto ha dichiarato il funzionario statunitense Brett Holmgren al Washington Post. È stato a capo del Bureau of Intelligence and Research del dipartimento di Stato e il 18 luglio prenderà le redini del National Counterterrorism Center, un’altra delle 18 agenzie della comunità d’intelligence americana, ereditandone la guida (come acting director) da Christine Abizaid. Lisa Kenna lo sostituirà al Bureau.

Quanto previsto rispetto alle conseguenze del 7 ottobre, “lo abbiamo già visto in qualche misura in Europa”, ha detto ancora Holmgren, riferendosi agli arresti di persone in Germania e nei Paesi Bassi accusate di aver progettato attacchi contro obiettivi ebraici. Alla domanda sulle proteste nei confronti degli Stati Uniti per il loro sostegno militare a Israele in seguito al crescente numero di civili a Gaza, Holmgren ha risposto che “i sentimenti che si sentono sul campo sono reali” e “si riflettono nell’analisi che abbiamo condotto”. Infatti, ha spiegato, ci sono “ramificazioni globali che il 7 ottobre ha avuto, e probabilmente avrà, sulla percezione degli Stati Uniti nella regione e tra la maggior parte dei Paesi musulmani”. Il funzionario non ha espresso alcun parere sulla giustificazione dei trasferimenti di armi statunitensi a Israele durante il conflitto, che rappresenta un elemento chiave delle proteste. Ma ha sottolineato che i governi stranieri continuano a volersi impegnare con gli Stati Uniti sulla cooperazione di intelligence e sulle soluzioni al conflitto “sia in Medio Oriente sia in America Latina, in Europa o in Asia”. Questi, ha dichiarato, “vogliono ancora l’impegno degli Stati Uniti e credono che sia importante per il futuro della regione e anche per il futuro dell’ordine internazionale”.

L’intervista è anche un commiato di Holmgren al Bureau, che può vantare una lunga storia di analisi preziose e corrette, sin dai tempi della guerra in Vietnam. Fondamentale il ruolo nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Ne aveva scritto lo stesso funzionario su Foreign Policy pochi mesi fa, spiegando che la “diplomazia dell’intelligence” è “sempre più vitale per sostenere e rendere possibile la missione del dipartimento di Stato” ma “deve essere sfruttata in modo coerente con la sicurezza nazionale e i valori degli Stati Uniti. In assenza di barriere, c’è il rischio che la ‘diplomazia dell’intelligence’ possa essere usata in modo improprio o sbagliato”. Ovvero, come accaduto nel contesto della guerra in Iraq.

A tal proposito, Holgrem racconta il momento più “memorabile” del suo mandato al Bureau: l’incontro con Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri ucraino, al settimo piano del Dipartimento di Stato mentre il Cremlino si preparava a invadere l’Ucraina. “L’ho informato su informazioni tattiche avanzate che indicavano che la Russia era sul punto di lanciare attacchi in tutta l’Ucraina”, ha detto. La decisione del segretario Antony Blinken di affidare questa responsabilità a Holmgren riflette la fiducia che aveva in lui in un momento così compliato, ha dichiarato Victoria Nuland, ex sottosegretario di Stato per gli Affari politici.

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