Le sfide del biopharma, tra innovazione, ricerca ed export. E l’auspicio di un maggior riconoscimento del settore dei plasmaderivati da parte della legislatura europea. Conversazione con Ugo Di Francesco
Kedrion Biopharma, azienda italiana con sede in Toscana, vanta una presenza commerciale in 100 Paesi e più di 5mila dipendenti nel mondo. Quinto player globale nel settore dei plasmaderivati e primo in Italia, la sua missione principale è prendersi cura delle persone, prevenendo patologie rare debilitanti attraverso la raccolta e il frazionamento del plasma, con l’obiettivo di produrre e distribuire farmaci plasmaderivati in tutto il mondo. Un ulteriore obiettivo dell’azienda è lo sviluppo di nuovi farmaci attraverso le tecnologie innovative. Ne abbiamo parlato con Ugo Di Francesco, ceo di Kedrion Biopharma.
Voi producete in primo luogo plasmaderivati. A cosa servono e su che tipo di patologie intervengono?
I plasmaderivati, o medicinali plasmaderivati, non derivano da processi chimici o biotecnologici, ma dal plasma umano, una componente del sangue donata volontariamente. Da questo plasma si ricavano farmaci che, nella quasi totalità dei casi, sono salvavita. Essi consistono in proteine che compensano specifiche carenze nei pazienti affetti da patologie gravi e, in alcuni casi, mortali.
Quali, per esempio?
Questi farmaci sono principalmente utilizzati per trattare immunodeficienze primitive e secondarie – queste ultime causate da vari fattori, come ad esempio, il cancro –, disturbi neurologici del sistema nervoso centrale, patologie autoimmuni, emofilia e disturbi della coagulazione. Un’altra area di applicazione dei medicinali plasmaderivati è rappresentata dalle patologie di emergenza. L’albumina, ad esempio, è ampiamente utilizzata nelle terapie intensive, nella chirurgia cardiaca, nelle malattie del fegato e nel caso di infezioni gravi.
Ce ne sono altre?
Esiste un settore specifico e relativamente poco conosciuto: quello delle immunoglobuline iperimmuni. Questi medicinali derivano dal plasma di pazienti già immunizzati contro determinate patologie, come l’epatite B trasmessa da madre a figlio o la sensibilizzazione da Rh che può portare alla malattia emolitica del feto e del neonato in caso di incompatibilità di gruppo sanguigno tra madre con Rh negativo e feto con Rh positivo, nonché altre patologie come rabbia e tetano.
Come è evoluta negli ultimi anni la posizione del farmaceutico made in Italy sul mercato globale?
I dati parlano chiaro: dal 2019 al 2024 l’export italiano è aumentato del 30%, trainato principalmente dai settori agroalimentare e farmaceutico. Questo risultato sottolinea l’importanza del comparto per il made in Italy, in un contesto in cui l’Europa sta progressivamente perdendo competitività rispetto a colossi come Stati Uniti e Cina. Tuttavia, il nostro settore è riuscito a mantenere una posizione di rilievo globale grazie al forte impegno dell’industria italiana, sia da parte degli imprenditori nazionali che delle aziende internazionali operanti nel Paese. È un settore da difendere per preservare la posizione di leadership che abbiamo in Europa, insieme alla Germania, nel settore farmaceutico.
Quali sono le sfide che il farmaceutico nazionale deve affrontare per migliorare la propria competitività?
Le sfide sono numerose: il nostro è un settore guidato dall’innovazione, che richiede continui investimenti in ricerca e sviluppo. Per mettere a disposizione dei pazienti un nuovo farmaco, sono necessari ingenti investimenti e tempi lunghissimi. L’obiettivo è mantenere un ecosistema capace di sostenere gli investimenti in R&S, fondamentali per rimanere competitivi, soprattutto per quelle patologie senza risposta terapeutica, come le malattie rare.
E quali altre?
L’altra sfida è sicuramente quella di salvaguardare l’export. È fondamentale che, a livello istituzionale, si continui a lavorare per evitare la creazione di barriere regolatorie e commerciali che possano limitare l’accesso ai mercati internazionali. Infine, questo è un settore in cui la concorrenza è a livello globale, per cui le aziende italiane devono riuscire a mantenere una posizione competitiva su tutti i mercati internazionali. Il che richiede non solo di investire su innovazione, ricerca ed export ma anche di ottimizzare i processi produttivi per mantenere una posizione competitiva sul fronte dei costi.
Il processo di ricerca e sviluppo (R&S) è presente in tutte le fasi del percorso, dalla ricerca pre-clinica e clinica allo sviluppo di nuove terapie plasmaderivate. Quale è la strategia di Kedrion in termini di R&S?
Tutto ha origine dal plasma e, quindi, da un punto di vista etico, tutto comincia dai donatori che offrono il loro plasma. Questo pone già un primo tema sul fronte della competitività e della R&S: è essenziale disporre di un sistema di raccolta del plasma che renda l’Europa autosufficiente. La ricerca, poi, si orienta nell’ottimizzazione del plasma, studiando nuove proteine che possono essere isolate e impiegate per il trattamento di specifiche patologie. Tra le altre, una linea di ricerca su cui Kedrion è fortemente impegnata è quella della proteomica, con l’obiettivo di individuare, all’interno del plasma donato, nuove proteine che possano fornire opportunità terapeutiche per alcune patologie rare.
Quali sono le potenzialità offerte dall’IA nell’ambito pharma e, più nello specifico, nel settore dei plasmaderivati?
L’intelligenza artificiale offre numerose applicazioni nel nostro settore. In primo luogo, può accelerare lo sviluppo di nuovi farmaci sia nella fase preclinica, riducendo o eliminando la sperimentazione animale, sia nella fase clinica, abbreviando i tempi di sviluppo e abbattendo i costi.
E poi?
Un’altra area in cui l’IA ha un impatto significativo è quella delle terapie avanzate, permettendo l’identificazione di nuove combinazioni terapeutiche per il trattamento di numerose patologie, incluse quelle cronico-degenerative, infettive, cardiovascolari e oncologiche. Inoltre, l’IA può migliorare i test diagnostici in grado di identificare le possibili patologie a cui un individuo può essere predisposto nel corso della sua vita.
In che modo?
Grazie all’IA, potrebbe essere possibile analizzare il plasma di milioni di donatori e identificare le patologie che ogni singolo donatore potrebbe sviluppare nel corso della vita, aprendo le porte alla medicina predittiva e, più specificamente, alla medicina individualizzata. Infine, l’IA può supportare l’ecosistema sanitario nell’individuare modelli organizzativi e di governance che garantiscano la sostenibilità a lungo termine del sistema sanitario, sia nelle economie occidentali che nei Paesi in via di sviluppo.
L’idea di considerare la spesa farmaceutica come un investimento anziché una spesa corrente è al centro di un acceso dibattito. Quali sono, secondo lei, i principali ostacoli alla sua implementazione e come potrebbero essere superati?
Ritengo che non sia opportuno limitare il dibattito esclusivamente a una questione di costi o di investimenti. È fondamentale, innanzitutto, un cambiamento culturale di mentalità. Prolungare la durata e migliorare la qualità della vita delle persone comporta, nel tempo, un ritardo nell’utilizzo dei farmaci e una riduzione delle ospedalizzazioni, generando così risparmi e una maggiore sostenibilità del sistema sanitario. È quindi necessario adottare una visione olistica, in cui la spesa non sia vista esclusivamente come una spesa farmaceutica ma sia inserita nel contesto complessivo delle spese che accompagnano la vita di un individuo, dalla nascita fino al termine della sua esistenza. Inoltre, il futuro del nostro settore è caratterizzato dall’impiego di tecnologie avanzate, IA, terapie innovative e medicina personalizzata. Pertanto, sarà indispensabile individuare strumenti di governance adeguati e specifici, capaci di garantire la sostenibilità del sistema nel lungo termine, assicurando in particolare un accesso equo ai farmaci e un sostegno costante alla ricerca. In questo contesto, l’adozione delle nuove tecnologie e dell’IA dovrebbe favorire un uso più appropriato dei farmaci, riducendo gli sprechi che tutti accantoniamo nei nostri armadietti domestici. Da ultimo, auspico che la nostra industria sia affiancata ai decisori politici con un vero e proprio approccio di partnership, superando il semplice ruolo di interlocutore.
Allarghiamo gli orizzonti e spostiamoci sul piano europeo. Con l’insediamento della nuova legislatura, quali sono dal suo punto di vista le priorità da affrontare? Quali consigli darebbe ai prossimi legislatori?
In primis, è fondamentale creare un ambiente in grado di proteggere e non penalizzare gli investimenti in ricerca. Questo si intreccia con uno dei temi centrali della revisione della legislazione farmaceutica europea: la tutela dei brevetti. La combinazione di brevetti e supporto alla R&S rappresenta un pilastro imprescindibile su cui, a livello europeo, si dovrà continuare a lavorare tutti insieme.
Un altro aspetto cruciale su cui la nuova legislatura europea dovrà concentrarsi, insieme alle aziende, è la semplificazione burocratica. I tempi di accesso ai rimborsi e la burocrazia in generale, in molti casi, tendono a penalizzare l’Europa rispetto alle grandi economie come gli Stati Uniti e la Cina. In questo contesto, sarebbe auspicabile un maggiore dialogo tra l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e la Food and drug Administration (Fda) degli Stati Uniti, al fine di uniformare le loro posizioni e adottare un approccio più omogeneo sia nello sviluppo clinico dei vari prodotti sia nell’accesso alle terapie per i pazienti.
Infine, sarebbe opportuno anche un maggior riconoscimento del settore dei plasmaderivati da parte della legislatura europea. La specificità della materia prima, il plasma umano, rende questo settore unico e comporta altresì anche una specificità oltre che una complessità nella supply chain e nei tempi di produzione di cui bisogna tener conto.