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Cia a Roma per continuare il dialogo sul cessate il fuoco Israele-Hamas

Di Gabriele Carrer e Emanuele Rossi

Nell’incontro romano di domenica 28 luglio, la Cia conferma il ruolo diplomatico dell’Italia. L’obiettivo è uscire dalla città eterna con qualcosa di più concreto per cessare il fuoco a Gaza. Speranze poche, ma i negoziati continuano

Domani, in una località riservata di Roma, il capo della Cia e quelli dei servizi segreti di Egitto e Qatar si incontreranno con funzionari omologhi del Mossad e governo israeliano per portare avanti altri dialoghi sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

L’obiettivo con la tregua è favorire la liberazione degli ostaggi — che l’organizzazione terroristica Hamas ha rapito durante il macabro attentato che il 7 ottobre ha aperto l’attuale stagione di guerra — e poi, più in generale, permettere con lo stop delle armi di ripristinare le condizioni minime di vita nell’enclave palestinese, sprofondata in questi dieci mesi in una brutale crisi umanitaria. Israele non vede il cessate il fuoco come una via per concludere la guerra, la cui fine — almeno a livello teorico e di narrazione — sarà sancita dal raggiungimento dell’obiettivo: la completa disarticolazione di Hamas.

Per questo i dialoghi trovano grandi difficoltà: c’è fondamentalmente una distanza siderale tra le due parti, Hamas vuole che la tregua si trasformi in una sorta di salvacondotto, garantendone esistenza futura; Israele ferma le armi sotto pressioni interne ed esterne che impongono la liberazione di quegli ostaggi (che però potrebbero anche essere danni collaterali politici e militari accettabili davanti all’obiettivo finale).

La tappa romana, che segue di pochi giorni la visita del presidente israeliano, Isaac Herzog, difficilmente sarà determinante. Piuttosto, spiegano fonti che confermano la riunione a Formiche.net, è un riconoscimento dell’Italia come mediatore credibile. In altre occasioni certi incontri sono stati ospitati da Paesi portatori di interessi specifici, mentre nel caso di Roma si tratta di una testimonianza di come le attività diplomatiche italiane — anche quelle delicatissime condotte tramite l’intelligence — siano equilibrate ed efficaci.

L’Italia non è direttamente coinvolta nella partita sugli ostaggi e fornire la piattaforma di confronto è già una buona opportunità. Non si può invece escludere che da padrone di casa, il servizio collegato del Paese ospitante, ovvero l’Aise diretto da Giovanni Caravelli — che offre quella piattaforma, portando con sé il coinvolgimento generale del comparto sicurezza — riceva individualmente gli ospiti; e dunque in qualche modo partecipi, anche se con tempi, diversi al dialogo. Per altro, visto la connotazione geostrategica e la capacitiva di comunicare all’interno della crisi, Roma potrebbe ospitare altri round di questo genere (anche perché apprezzata particolarmente dagli Usa e amata dai qatarini).

Tutto arriva in un momento particolarmente importante. Anche dopo le riunioni avute nei giorni scorsi dal premier Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca (con Joe Biden e separatamente con Kamala Harris), il percorso di un accordo è sembrato potersi delineare in forma più concreta. O per lo meno così è stato raccontato, soprattutto dall’amministrazione statunitense — che ha investito direttamente il peso politico-diplomatico della Casa Bianca, perché è stato il presidente Biden a proporre la road map di cui si sta discutendo.

Solitamente questi sono i momenti più delicati: già in passato è successo che tutto saltasse mentre si era prossimi al punto di intesa. Ed è questo che vogliono evitare il capo della Cia, William Burns, il primo ministro del Qatar, Mohammed Bin Abdul Rahman al-Thani, il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il direttore del Mossad, David Barnea. Tutti sanno che al momento di stringere escono nuove richieste, soprattutto si manifestano le reali volontà.

L’incontro di domenica tuttavia non dovrebbe includere negoziati dettagliati sulle questioni in sospeso, ma si concentrerà principalmente sulla via da seguire. Se questo lascia poche speranze per una svolta, è anche perché la pressione di Harris e Biden su Netanyahu convince poco il primo ministro ad ammorbidire alcune delle rinnovate richieste — in particolare quelle che riguardano il controllo del flusso dei rifugiati tra nord e sud della Striscia e quello del valico di Rafah, che in sostanza significa permettere che Israele mantenga la gestione della sicurezza nel territorio palestinese.

L’incontro romano permette a Netanyahu di guadagnare tempo, continuando il dialogo e dimostrandosi disponibile a esso, attraverso la logistica offerta da un Paese amico. Sarà il tempo a dire se la scenografia della Città Eterna avrà portato risultati efficaci.

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