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La Cina punta ai fondi Pnrr per il green? Cosa (non) c’è nel decreto del Mimit

Di rientro dalla missione a Pechino, il ministro Urso ha parlato di “partnership industriale” anche su transizione verde e mobilità elettrica. Pochi giorni prima il dicastero ha pubblicato le regole per i contratti “Net Zero, rinnovabili e batterie”, che non prevedono criteri geografici

Nei giorni scorsi il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha emesso il decreto che disciplina le modalità di accesso ai contratti di sviluppo “Net Zero, rinnovabili e batterie” per agevolare la transizione energetica. Il decreto mette sul piatto 1,7 miliardi di euro derivanti dai fondi Pnrr. Di questi, almeno 308,6 milioni di euro sono destinati a programmi di sviluppo concernenti le tecnologie fotovoltaiche ed eoliche, e non meno di 205,1 milioni di euro a quelli riguardanti le batterie.

Come riassume una nota del ministero, i programmi dovranno “avere ad oggetto la realizzazione di progetti di sviluppo industriale o di sviluppo per la tutela ambientale ed eventualmente progetti di ricerca, sviluppo e innovazione finalizzati alla produzione di batterie, pannelli solari, turbine eoliche, pompe di calore, elettrolizzatori, dispositivi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS), nonché programmi di sviluppo per la produzione di componenti chiave e il recupero delle materie prime critiche specificate nel decreto”.

Nelle 23 pagine del documento, di cui 9 di “visti” e “considerato” e 8 di allegato, non ci sono requisiti o limitazioni geografiche per le aziende e le eventuali joint-venture interessate. Una mancanza che ha stupito diversi addetti ai lavori, considerato che il “de-risking” è ormai il filo conduttore del nuovo approccio europeo alla Cina, in particolare nel settore delle tecnologie verdi, dove le aziende cinesi puntano a una posizione dominante. In questi mesi e anni – anche prima del mancato rinnovo del memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative (la cosiddetta Via della Seta) –  i diplomatici cinesi in Italia non hanno fatto mistero di auspicare il coinvolgimento delle aziende cinesi nella transizione digitale e verde dell’Italia.

Il decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale pochi giorni prima della partenza di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, per Pechino.

Nel fine settimana, di rientro dalla visita, il ministro Urso ha dichiarato che “da una partnership commerciale si può fare un salto di qualità e arrivare a una partnership industriale, specialmente nei settori della tecnologia green, della mobilità elettrica e della farmaceutica, che penso possa essere utile anche alla nostra Europa”. Finita l’avventura della Belt and Road Initiative, l’obiettivo è una “cooperazione win-win” tra Italia e Cina, ha aggiunto utilizzando un’espressione, win-win, cara alla diplomazia cinese.

Priorità della missione era l’automotive, con particolare attenzione a quella che il ministro definisce una “anomalia” italiana: l’unico Paese in Europa ad avere un unico produttore (Stellantis). A tal proposito, il ministro Urso ha successivamente spiegato, ospite di Bruno Vespa al Forum in Masseria, che l’Italia è nei “radar” dei produttori cinesi di autovetture. Addirittura, “diverse aziende della Cina hanno mandato già i tecnici nelle aree dove si può investire”, ha spiegato di rientro dalla missione che ha anticipato quella di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, attesa a Pechino a fine mese.


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